La porta segreta si spalancò di colpo, quasi avesse atteso il nostro passaggio. Oltre, la ripida scala ci avrebbe condotti nei sotterranei del monastero. Il frate, la ragazza dai capelli rossi, ed io con loro, ci inoltrammo giù a perdifiato. Solo il frate, forse, era a conoscenza dell’ambita meta oltre l’oscuro abisso. Il monaco, tenendo la lampada con la mano destra, con la sinistra afferrò la tonaca e, senza indugio, si lanciò per primo nell’abisso. La ragazza lo seguiva, era sconvolta, in volto le si leggeva il terrore di chi fuggiva un terribile destino di morte. Solo io sembravo ignaro di tutto, ma dovevo seguirli. Come un serpente la scala si avvolgeva a spirale su se stessa. Bianco e tremante in volto, terreo, il frate non emise più parola. La ragazza invece urlava e si disperava, quando, nella concitazione, al terzo giro dell’ignota spirale perse una scarpa che, cadendo in quel buco nero, sentimmo sbattere un paio di volte lungo le ripide pareti. Due rintocchi sordi, ma nessun di noi udì mai giungere rumor dal fondo. Più noi discendevamo nell’oscurità, più l’umidità rendeva gli stretti gradini sempre più viscidi. La sventurata scivolò. Inciampò ripetutamente, rischiando di precipitare sul fondo di quello che non potevamo allora comprendere se fosse un pozzo o un condotto verticale. In silenzio maledicemmo l’architetto, il quale si guardò bene di dotare la scala di una balaustra protettiva. La ragazza riuscì a voltarsi verso me, afferrandomi alla vita, farfugliando, in piena crisi isterica, qualcosa in spagnolo a mo’ di litania, che non potei comprendere. Un fetido odore, sempre più nauseabondo, lasciò presto intuire che non era di un pozzo che si trattava ma delle sacre fogne. Il giovane frate le urlava di non strillare: sicuramente eravamo inseguiti, pensai. Tutto accadde così in fretta che smarrimmo il senso del tempo. Scendendo ancor più giù, ai foschi presagi di morte si alternavano sinistre allucinazioni, anch’esse per nulla confortanti. La flebile luce della lampada, sempre sul punto di estinguersi, puntuale andava replicando sulla nera roccia l’ombra di ogni sbandamento del goffo incedere del frate, imprimendo sulla orrida parete strane sagome di incerta uman sembianza. Colto da ulteriore brivido mi parve che più noi, che ancor vivi, penetravamo nell’inferno, più, da lì alcuni, non rassegnati alla morte, illusi tentassero di risalirvi. Pur tuttavia, non avendo essi più corpo, essendo ormai null’altro che spirito, l’ascesa dovea costargli una tal fatica, estrema e vana, quanto le terrifiche smorfie impresse sui loro fatui volti. Cessate le grida, la nera profondità avvolse tutti noi in un silenzio surreale. I forti battiti del cuore martellavano di paura i nostri timpani, doveva essere così anche per loro due, a giudicar dai corti respiri emessi. Giunti all’ultimo dei gradini il panico si impadronì dell’ultime nostre speranze: quale dei quattro condotti, che lì si incrociavano, ci avrebbe reso salvi? Liberi che eravamo ognuno di andar per la propria sorte, rimanemmo lì paralizzati, chiaramente avvinti a quell’ignota fine da un atroce destino comune. Quand’ormai persi, ch’eravamo, nel più totale abbandono, ecco la sorte accanirsi con perfidia. Un misterioso sbuffo d’ossigeno alimentò improvvisamente il flebile lume, e con essa la speranza per un po’. Poi subito dopo la ragione prese il sopravvento: in quel luogo sotterraneo solo una demoniaca presenza avrebbe soffiato aria. Essa colse, con precisione maligna, l’esile fiamma, spegnendola. Discesi ormai del tutto fin nel fondo, all’unisono il terrore piegò le nostre gambe prigioniere dell’immondo liquame, trattenuto in pozze da macabri ammassi d’umane ossa.
“Gospodi pamilii!”(1) implorò, in slavo antico, per tre volte allora il frate, con voce profondamente disperata, sentendosi abbandonato anche da Dio. Udimmo rimbalzare l’eco, vana e senza fine, della tonante supplica nel vortice infinito su di noi. Il buio, fattosi pesto, fece sì che voltai lo sguardo in alto, alla ricerca d’uno spiraglio, che già non c’era più.
Fu così che l’ottenebramento della luce abbandonò le nostre anime nell’abisso delle tenebre.
Per sempre!
Mi piace il racconto “Maghi e streghe” per la suspence e le descrizioni minuziose dei luoghi e degli avvenimenti tanto da coinvolgere il lettore in prima persona nell’avventura.
carissima Manuela ti ringrazio per il lusinghiero giudizio dato al testo seppur leggendo solo poche righe. La stesura di questo testo mi sta togliendo la vita, come energie, ma come conoscenza me ne sta donando un’altra inaspettata e sconosciuta. La gente forse può avere un approccio di curiosità e di esotismo verso questi argomenti e in questa ottica si spiega lo smisurato successo di opere di questo tipo. In verità, se sapessero i lettori, attraverso quali infinite porte ci si immette con storie di questo tipo. Parlo di livelli di profondità religiosa e filosofica impensabili nella “banale” quotidianità cui la cultura di questi tempi ci circonda. Non per tutti è così ovviamente. Ma più scrivo, e oramai sono arrivato quasi alla fine, più mi accorgo che il testo può contenere “tracce” di verità (e dire verità è molto impegnativo) che pongono il testo al di là del semplice fantasy mediovale di cui sono pieni gli scaffali delle librerie. Se pur così fosse, il mio compito sarà di dimostrarlo, di questo mio coinvolgimento spirituale avrò premura di farlo riecheggiare nell’anima del lettore, solo allora potrò dire di non aver fallito. Scusa se non ti ho risposto prima, ma i miei tempi non sono proprio quelli telematici. Alla prossima ciao
Dopo la tormentata, ma anche ironica, traversata della “grande acqua”: il senso della propria vita e della vita in generale, il consulente filosofico, Carlo Paralinos è nuovamente chiamato a nuove avventure. Il destino lo chiamerà ad una impresa memorabile. Dovrà accompagnare la veggente Tiziana a ritroso nel tempo, nel 1500. La veggente Tiziana vive con forte disagio psicologico la dote della veggenza. Conosciuto il consulente filosofico Paràlinos, gli chiede di indagare insieme a lei riguardo all’ipotesi che la sua dote non fosse per caso l’eredità amara, in lei, di una maga del 1500, arsa viva come strega. L’unico modo è di effettuare un salto nel tempo, attraverso una regressione ipnotica. I due, balzati nel XVI secolo, si metteranno sulle tracce della maga cercando di impedire l’esecuzione. Quello che è pubblicato come post è l’incipit dell’inedito: “L’ottenebramento della Luce”. Il consulente sarà all’opera ancora con il preziosissimo Libro dei Mutamenti, l’I Ching.