“Lo accompagnerò io!”
Giulia guardò suo figlio accasciato sulla poltrona del salotto, con le lacrime che gli cadevano sulle mani incrociate, come in preghiera.
“Io non ce la faccio mamma, mi sento morire! Grazie, sì, vai tu all’aeroporto, io non sono capace di fare anche questo: accompagnarlo e dirgli addio!”
Quattro anni prima, in un mattino d’autunno, Roberto l’aveva svegliata di soprassalto per dirle che il bimbo stava nascendo. Giulia si vestì un po’ affannata, guardò l’orologio e lesse che erano le cinque.
Corse a prendere la macchina nel garage, come se dipendesse da lei che pochi istanti in più o in meno potessero compromettere la nascita di suo nipote. Percorse velocemente, in un’alba rossa, la strada vuota del lago. Sulla riva alcune barche capovolte; in controluce, la sagoma nera di due pescatori chini a guardare il pescato della notte.
Nell’urgenza il cuore le palpitava forte nel petto; si sentiva necessaria, insostituibile. Il medico, l’ostetrica erano il corollario obbligato per l’evento, ma ciò che contava era che suo figlio e lei fossero presenti alla nascita di Simone.
Lo vide già nato tra le braccia di suo figlio con gli occhi stranamente spalancati e limpidi, stupiti come se capissero e vedessero i volti amorosi chini su di lui.
Le guance impalpabili come petali di papavero, la carnagione di pesca matura e sul capo una chioma di capelli neri del tutto inusuale. “Gemma del mio ramo! ” Pensò.
Una tenerezza infinita le inondava l’anima e le ingorgava in gola le parole che le uscivano stridule ed anche un po’ buffe…
“Mio tenero bimbetto, mio adorato nipotino, mio diletto!” Balbettò!
Ora gli avrebbe fatto indossare le scarpe, il cappottino e lo avrebbe accompagnato all’aeroporto, dove la mamma lo aspettava per portarselo via, lontano, nel suo paese d’origine come aveva decretato il giudice del Tribunale.
Gli guardò il bel dentino nuovo, lo accarezzò sulla testa, lo prese per mano.
Grumo di viscere contorte, gemiti trattenuti, dolore acuto sul volto di suo figlio che la incoraggiava ad avviarsi.
“Guarda, è quello l’aereo sul quale salirai tra poco! E’ bello, è grande, è azzurro.”
“Sì nonna, è bello! Vieni nonna… ma dove andiamo?”.
“In un altro Paese, diverso dall’Italia!”
“Sì, andiamo nonna in quel Paese, vieni nonna!”
“Anima mia, la nonna verrà presto con un altro aereo. Ora ci vai con la mamma!”
“Nonna perchè non vieni anche tu? Nonna quando viene papà?… Nonna io non voglio andare sull’aereo, nonna io non voglio partire… voglio stare qui… non voglio andare in un altro Paese, nonna, nonna, nonna!” Simone è cresciuto e sono passati gli anni. E’ bravo, parla correntemente due lingue, canta nel coro del teatro cittadino, suona il violino nell’orchestrina della scuola, parla a lungo col papà tutte le settimane e riceve ogni mese il pacco della nonna con il pesto fatto da lei, che gli piace tanto, il maglione rosso come le Ferrari lavorato ai ferri, le scarpe nuove ad ogni stagione, l’elicottero che vola, gli amaretti soffici specialità del lago…
“Nonna, ti amo!” dice sorridente, stando seduto sulle gambe del papà, nell’abbraccio dolce e raro degli incontri stabiliti dal giudice.
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Immagine: dipinto di Dorella Dignola