Ibis di Olga Karasso

Allora si fecero avanti i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo per metterlo alla prova. Egli, però, emettendo un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico che mai sarà concesso un segno a questa generazione”. Quindi, lasciatili, montò di nuovo in barca e se ne andò verso l’altra riva. (Da Vangelo secondo Marco)

In quel nido scuro di zecche e pulci furono gli occhi a colpire. Occhi neri e umidi imploranti compassione e cibo, ma forse molto più. Non esigevano probabilmente nulla ma rividi lo sguardo malizioso e innocente di mio padre, gli occhi elemosinanti degli orfani del mondo senza vergogne né pudori falsi. Non racconterò ciò che mi spinsero a fare per il rispetto che nutro nei confronti del mistero della vita e della sua tessitura. Dirò soltanto che, esasperati dalla gestualità e dal timbro di voce sovreccitato, gli addetti aeroportuali di Linate, dopo avere atteso ore e visto, mi domandarono con il sarcasmo tipico di molti maschi se fosse per lui che avessi inscenato tutto quel pandemonio tra Spagna e Italia. Era già notte e, nonostante le lacrime e le proteste sincere e ad arte, non lo liberarono ma dovetti tornare il giorno dopo.

A mezzogiorno, Ibiscus, il maiorchino, entrò così nella mia o meglio – un’ora e mezza dopo – nella vita di mia madre in un momento in cui avevo cessato di scrutare gli occhi della gente in cerca di risposte, in un momento in cui mi riusciva difficile credere di essere viva o che gli altri lo fossero. Ibis era vivo, fremeva di vita, raccoglieva tutto senza porre condizioni nell’attesa paziente che qualcosa o qualcuno nel mondo lo amasse. Io? Le elucubrazioni filosofiche di una vita sul divino, l’intellettualismo mal digerito di cui mi ero nutrita, i vagoni di domande lanciati nello spazio cui niente o nessuno aveva atteso, la cupa dolorosa sensazione di vaghezza e di vuoto al centro del petto, l’assenza di ogni legittima gratificazione, tutto scompariva dinanzi alla profondità insondabile dello sguardo di un cane piccolo e spelacchiato che stava di fronte fissandomi come se fossi una regina o non oso dire chi.

Una data prima del 1998

–  Ho la testa dolente. Pulsa come un orologio impazzito. Gli orologi pulsano? Dove sono le aspirine? Che disordine in questa casa! Le avete nascoste sotto la libreria? Perché? Eccole! Dieci anni. Trascorsero da allora dieci anni. Un soffio e il nulla.

–  Da quale data? Parli di nulla senza conoscenza.

–  Non capisco. Da quale data? E’ importante? Non ricordo con precisione. Forse…

–   Dieci anni trascorrono sempre partendo da qualsiasi data. In alto o in basso sulla linea del tempo. In avanti o indietro  sulla   linea  dello  spazio.   O  viceversa.   Come preferisci. Non è fondamentale. Se non esiste il ricordo di una data esatta che razza di calcolo sarebbe questo? Non ha senso ragionare in termini di dieci anni. Che cosa vuoi significare?   Prendi   l’Aspirina?   Ti   sanguineranno   le mucose dello stomaco.

–   Pazienza. Sono trascorsi dieci anni. Sono convinta che siano dieci ma non ho sicurezza. Provo solo un dolore al petto. E’ lancinante. Come una pugnalata.

–   Non   c’è   motivo  di  rammaricarsi  solo perché  sono trascorsi dieci anni.

–   Dodici anni. E se fossero dodici anni? Per chi e facendo cosa?

–   Trent’anni. E poi saranno quaranta. Dov’è la differenza?

Com’è   avvenuto   che   siano  trascorsi   così  veloci  e profondamente inutili? Amari e inspiegabili. Senza respiro e rapidi. Non ne ho memoria.

–  Perché vuoi precisare? Ti sentiresti meglio se ricordassi ogni giorno e i suoi dettagli?

–  Probabilmente no. Provo un senso di colpa.

Senso di colpa? Non è senso di colpa. E’ paura mista a rancore.

…Un senso di colpa che impone di ringraziare con estrema docilità per essere viva ancora vivo mentre altri non lo sono più. Ringraziare perché la vita si è fermata, con le   sue   grosse   palpebre   di   mistero,   pronta   a   essere nuovamente spogliata come se non avessero avuto alcun valore…idee molte…azioni rare…passate.

–  Tutto al passato. Ti sorprendi ancora? E’ il gioco eterno della memoria che governa il labirinto delle emozioni come un videogame.

E’   perfetto!   Che   spiegazione   fantastica!   Come   un videogame…   Come  ti  nascono  nella  mente…idee  così originali?

–  Una banalità come un’altra. Non ti eccitare. Non esiste l’originalità. Riproduzione soltanto riproduzione.

–  Non… Riproduzione?… Fotocopie?

–  In un certo senso.

Che stupidaggine! Fotocopie? Dove sarebbe quindi il fotocopiatore?

–  O fotocopiatrice.

–  Discorso insulso… Mi sta scoppiando la testa. Di che marca sarebbe questo fotocopiatore? O fotocopiatrice?

–  La marca non è nota. Che cosa t’importa?

Per curiosità. E’ una marca estera? Sono quasi tutte estere…

–  In un certo senso.

–  ...Non provi la sensazione di essere nata appena nato oggi un poco anchilosata-o? Come un bebè vecchio che ha scordato il mondo non sapendo quale strada imboccare per ferirsi di meno?

Se ce ne fossero ancora… Quale vorresti imboccare?

–  Imboccare? Non  so.   Vorrei  essere  imboccata.  Dio! Quanto tempo a rincorrerlo.

E se fosse questo l’errore? Arrenditi e prendi tempo. Non pensare. Siediti in un bar del centro e ordina un caffè con la panna. Entra in un negozio elegante e compra un abito. Acquista mutande e reggiseni meno castigati di quelli che indossi.  Vizia la personalità…lusingala. La verità passa attraverso di essa. Non lo intuisci?

–  Preferirei una  sigaretta.  Hai  ragione.   Come  si  può accettare che il godimento della vita sia svegliarsi la mattina per un caffè e due wafers…correggere centinaia di bozze   in   quattro   lingue   su   componenti   di   motori incomprensibili?…

–    Non fare l’amore. Perché? Non ti sei stancata? Non ti sei mortificata a sufficienza? Ti stai punendo. E’ un torto al sole.

–    …addormentarsi sui conti ogni notte. Addormentarsi su Il fisco o La guida pratica fiscale.

–    Un passaggio evolutivo interessante. Che cosa ti è saltato in mente? Così poco portata all’aritmetica… Non ti piaceva la poesia? Quale dogma barbaro ti ha prescritto il cambio di natura?

–  Dalla sregolatezza poetica a una registrazione I.V.A. con il 14% seguita da una registrazione I.V.A. con il 15% da una registrazione I.V.A. con l’8% e poi il 9 e il 10 e il 20, come pile di libri. La nuova biblioteca-cultura per un suicidio programmato.

–  E il coraggio di parlare non c’è stato.

– E il coraggio di ribellarsi non c’è stato più.

–  Che cosa ti aspettavi di diverso?

–  Non ci sarà più. Dio! Quanto tempo a fingere di capire.

–    Che cosa vorresti capire? Il mistero? Si chiama mistero per un buon motivo. I sapienti non illustrano il mistero…ci passano accanto con mille circonvoluzioni…un sacco di parole prima… e poi… démerdez-vous.

–    Nulla. No. Vorrei sapere se la solitudine sia un virus o un batterio…chi colpisca di preferenza e se produca anticorpi. Nel sezionarla quante parole si sono futilmente sprecate! E’ di sicuro un difetto genetico. Non c’è antidoto. E’ distinta, selettiva, borghese.

–    Borghese? Fuori di…

–  Quella borghesia di cui ognuno con le tasche piene ti accusa.

–  Eppure quattrini non ne hai fatti molti. Ne hai persi tanti. Ti sei tuffata in profondità. Un saggio cinese…

–  Un buco nell’acqua.

–  Nell’esperienza. Non ti senti ora più intima con una parte consistente dell’umanità? Sei ricca…di meno.

–  Credi che tentare di scrivere dopo dieci anni dodici anni trent’anni si rischierebbe di essere più banali di un tempo?

–  Ancora di più? Non è possibile.  Vorresti riprendere a giocare al passatempo subdolo degli intellettuali dopo dieci anni dodici anni trent’anni di lavoro serio senza voli?

–  Erica Jong. Credi che il successo sia meritato?

–  Che cosa c’entra? Non riesci a bloccare un pensiero per un attimo? Concentrarti su qualche immagine per cinque secondi? Potresti confessare di avere dormito  in  una soffitta in mezzo ai topi mentre gli altri vivevano la vita…

–  La vita? Quale vita?

–  Non barare. Non serve. Ci sono miliardi di vite e miliardi di miliardi di sogni che si compenetrano tra di loro sino a confondersi.

–  …Confessare di avere vissuto il silenzio che conosce che bisbiglia   scorato   di   non   avere   compreso   niente…per paura…

-…anche    in    mezzo    all’Oceano    Pacifico…    Perché drammatizzi?

–   …davanti a una moltitudine che vocifera da dieci anni dodici anni trent’anni convinzioni certezze…quando si è intimoriti dalla propria ombra, quando non si è verificato se sia corretto parlare al femminile o maschile…

–   …Per quale ragione? Dovresti sapere che il cervello possiede per nascita un fiocco rosa o azzurro. Il sesso è già predeterminato. I cervelli hanno sessi predeterminati. Sarà un‘opera d’arte. Che conti di fare?

–   Vorrei sparire ma c’è Chi l’ha visto!

–   Che farai del tuo zoo? Perché questi animali nella tua vita?

–   Affinità. E’ viscerale…come se li avessi partoriti.

–   E’  quello il vero problema.

–   Non potrei abbandonarli. Si fidano. Dipendono da me…e noi da chi dipendiamo? Chi ci nutrirà?

– La divina provvidenza. Hai perso ogni fede. Ricostruisci. Non c’è tempo.

Dicevi che non ha alcuna importanza! Ti contraddici in continuazione. Confondi il poco che sono.

–  Sei qualcosa…quindi…

–  Non rammento con esattezza. Ricordi mescolati senza date né riferimenti logici come fosse una memoria a gomitolo. Non è lo stesso per te?

–  Peggio. Non scorgo nemmeno il gomitolo…per divertirmi un poco.

–  Chi sei?… Non credo di conoscerti. Non ti conosco affatto. Non ricordo di averti mai incontrato.  Sei così mentale! Gelida…gelido e mentale.

–  Dovresti saperlo.

***

Dal libro Ibis di Olga Karasso
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3 Commenti

  1. Gentilissimo Timur,
    leggo il tuo messaggio solo ora! Avendo cambiato gestore ho avuto problemi di connessione e sono andata poco su Internet. Grazie per le belle parole. Mi riferò viva presto. Un affettuoso saluto.
    Olga Karasso

  2. Complimenti, Olga. il brano del tuo libro mostra dei profondi chiaroscuri, uniti a luci e ombre di sentimenti. Le mie congratulazioni.
    Timur Lenk

  3. Io ho già letto questo romanzo. E’ a dir poco entusiasmante, inquietante, illuminante! Storia di un cervello atrofizzato che si risveglia e ricorda. Molto affascinante il meccanismo utilizzato del racconto a più voci, certo un espediente narrativo non nuovo ma in questo caso sfruttato con rara sapienza tecnica e ritmica; il testo è fratturato, frammentato, non rispetta mai l’andamento che ci si attende ma apre finestre – abissi – su ogni possibile interrogativo umano. Risucchia in un vortice di botta e risposta che si fa colonna portante della narrazione.

    Dal punto di vista dei contenuti i temi affrontati, se possibile, spingono ancora oltre: come in volo il lettore tocca i nodi cruciali del Novecento, ne assorbe le atmosfere, ne conosce i protagonisti e ne intuisce i meccanismi.

    Il vero protagonista di questo romanzo è il misterioso interlocutore che può essere l’alter ego o ben altro. Leggere per scoprire e ammirare l’intuizione geniale di Olga Karasso.

    Un libro da leggere e rileggere per prendere coscienza, alla fine con ironia, degli ingredienti drammatici della nostra vita!

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