1968, da poco laureato, ebbi in dono una bottiglia di vino pregiato.
Un mio vecchio e vero amico degli anni universitari sapeva che apprezzavo il buon vino.
Se ne ricordò e alcuni mesi dopo la laurea me lo vidi arrivare.
Aveva difficoltà economiche nel proseguire gli studi.
La famiglia aveva avuto dei problemi dopo la morte della madre e di una sorella e il padre aveva un lavoro saltuario.
Lui si dava da fare con tanti lavoretti, qualche lezione privata e quant’ altro gli permettesse di guadagnare qualche soldo per pagarsi gli studi.
Riusciva ad andare avanti. Ritardò di parecchi anni la laurea ma alla fine riuscì a prenderla.
Quando mi portò la bottiglia non ancora si era laureato.
Me lo vidi arrivare una sera di maggio del 1968. La primavera era avanzata, la giornata era stata piena di sole.
Il sole che quando a Napoli c’è luce folgorante in un mare dove il riflesso del Vesuvio trasforma l’acqua azzurrina in una splendida donna dagli occhi accesi che si protende sulla città.
Abitavo, allora, in una strada non molto affollata,anche perché non c’era il traffico di oggi.
In casa c’era una vecchia , ma solida credenza,che era di mia madre.
Ancora è in mio possesso.
Ha una struttura solida: due cassetti in alto, porta a due ante: un grosso solido rettangolo.
Quando entrò in casa quella sera del due maggio 1968, ricordo ancora la data, stringeva fra le mani, con lieve imbarazzo nella posizione delle braccia, un cartoccio che manifestamente conteneva una bottiglia.
“Nino , che fai qui” dissi.
“Ti ho portato questa” mi rispose.
E spingendo avanti le braccia mi offrì il cartoccio con la bottiglia.
“So che a te il vino piace e sono contento di donartela. Non posso di più. Conosci le mie finanze” continuò .
Ci avviammo verso il mio studio,intanto cominciai a scartocciare la bottiglia.
Era un buon vino italiano, toscano, di quelli forti, che ti prendono alla gola col retrogusto e ti fanno sognare altre terre, altre voci, ti portano lontano nei luoghi delle eterne primavere, dove l’utopia si scontra con i sogni e fa vibrare le corde profonde della maschera nascosta che si cela nelle pieghe più intime del nostro io.
Nino volle aprire subito la bottiglia.
Si fece portare due bicchieri e vi versò del vino: nell’aria si sparse un profumo denso di fiori di campo misto a un vaporoso odore di caldarroste.
Nei bicchieri il rosso lampeggiava controluce.
Brindammo insieme.
Poi, per la forza del vino, per il piacere dell’incontro iniziammo una discussione che riguardava i nostri interessi, ma che dopo si perse si confuse coi fumi del vino: eravamo noi con l’altro che era dentro di noi ed era venuto fuori a ciarlare.
Quando ci lasciammo, a sera inoltrata, la nostra amicizia era più forte, cementata dall’intensità metamorfica del vino.
Passò del tempo, dopo quell’ incontro: forse un mese, due mesi, il tempo esatto mi sfugge. La bottiglia di vino era rimasta dimezzata o quasi; l’avevo conservata, ben tappata, nel frigo.
Ragioni diverse mi avevano portato a lasciare la casa per un breve periodo di tempo.
Per alcune settimane mi ero dovuto recare a Nizza: l’atmosfera, il sole la libertà della riviera francese mi fecero dimenticare completamente la casa con i suoi problemi.
Una sera, nelle stradine della Vieux Nice, mentre colori e sapori giravano nell’aria affascinando udito e olfatto, su un piccolo tavolo di un ristorante vidi una bottiglia di vino, lo stesso che Nino mi aveva donato.
La bellezza del cielo di Provenza, la luce forte di un tramonto infinito parve balenare attraverso la bottiglia dimezzata: fu un lampo che mi portò nel giro di un istante alla serata con Nino, alla sua bottiglia alla suggestione di quel vino.
In realtà più che suggestione era presenza reale intensa di vita, che quel vino riproponeva e rinvigoriva. Mi sedetti al tavolo e volli riassaporare un’emozione che apparteneva al passato.
Il giorno dopo ripartii per la mia città.
Gli impegni erano terminati. Il volo da Nizza a Napoli fu breve: nel giro di qualche ora fui a casa.
Ma a casa trovai la sorpresa: ladri erano entrati e l’avevano messa a soqquadro, portando via alcune cose.
Non appena mi ripresi feci ulteriori giri per la casa e in cucina, sul tavolo, mi colpì la bottiglia di vino che il mio amico Nino mi aveva donato,vuota, insieme a due bicchieri.
Mi avvicinai e trovai un pezzo di carta sgualcito, logoro, con questi versi:
Bevi il tuo vino
amico divino
senti il profumo
del timo che bolle nel timo.
Bevi il tuo vino
guida la mano
al bicchiere che brilla.
Nel cuore una stilla.
Il vino scintilla
in notti lunghe
di attese di danze.
Scivola nella mente
il silenzio del vino
e all’amico divino
propone un inchino.
Firmato: un ladro che beve il buon vino
***
Immagine: Natura morta con bottiglia, bicchieri, formaggio e pane di Vincent Van Gogh
Caro Emilio,
se affermassi che la napoletanità insita nel tuo testo non ha contribuito a trattenenermi , mentirei…
Il mare della mia città ‘con gli occhi accesi come quelli di una donna e protesi sulla città’ è un
richiamo irresistibile.
Altrettanto avvincente è la vicenda della bottiglia di vino, colonna sonora del tuo viaggio fisico e interiore.
Le storia dell’esistenza ti ha portato lontano da Napoli, a vivere esperienze importanti, diverse.
La saudade… malinconica nostalgia…non ti dava tregua e la bottiglia di vino fungeva da simbolo,
quasi da talismano per indurti al ritorno, al ventre del tuo sempre.
E quel nido violato poteva sembrare un tradimento se non fosse stato per la bottiglia di vino e per il ladro … campano.
Un ladro poeta e capace di leggere nella tua anima.
La lirica sul vino è una splendida cerniera a un racconto altrettanto avvincente e particolare.
Sei riuscito a divenire laccio… non potevo staccarmi. Nè disincantarmi.
Grazie… il vino era ottimo e sono un pò brilla.