L’albero di Natale –
Un vento gelido spazzava le vie illuminate della città e soffiava, soffiava forte tra la gente che, avvolta in pesanti cappotti o in lussuose pellicce, si affrettava a fare gli ultimi acquisti per il Natale ormai alle porte. Infatti era già passata la metà di dicembre e molte persone dovevano ancora scegliere i doni per amici e parenti. I fanciulli, fieri di indossare giacche imbottite, calde sciarpe e colorati cappelli di lana, passeggia -vano al fianco dei loro familiari, osservando soddisfatti le originali luminarie delle vie ed incantandosi di
fronte alle più svariate ed allegre decorazioni natalizie, che addobbavano le vetrine dei negozi. Il clima di quel tardo pomeriggio era molto rigido e ad un certo momento iniziò a nevicare. Molti bimbi dagli animi spensierati, entusiasti alla vista dei primi fiocchi di neve, cominciarono a gridare di gioia al pensiero del manto candido e puro che all’indomani avrebbe ricoperto tutta la città.
Nella strada principale si trovavano due grandi negozi, l’uno accanto all’altro: un enorme emporio di giocattoli ed una raffinata profumeria. Davanti alla porta d’ingresso del primo era stato collocato un abete finto alto quasi due metri, bellissimo, curato in ogni minimo particolare ed addobbato con numerose palline colorate, luci intermittenti di ogni genere e filamenti argentati. Davanti al secondo negozio invece era stato messo un giovane albero vivo, alto circa un metro, senza radici, ma ben piantato in un robusto vaso di coccio, ugualmente decorato e splendente in tutto lo sfarzo dei suoi ornamenti.
Una fredda notte, prossima al giorno di Natale, accadde un episodio incredibile: i due alberi cominciarono a dialogare.
“Sai, sei proprio un magnifico abete! Sei così alto e ben decorato!” esordì il piccolo albero.
“Sei molto gentile! Grazie dei complimenti. Devo dirti una cosa: anche tu sei molto bello” replicò il gigantesco abete.
“Grazie” rispose con un filo di voce l’altro albero e continuò pronunciando queste parole: “Però sono molto triste, amico”.
Il piccolo abete vivo rispose con le lacrime agli occhi: “Tu sei molto fortunato, spensierato come un fanciullo. Purtroppo io nella mia breve esistenza ho già scoperto alcune amare realtà della vita, ho cono-sciuto certi orribili aspetti del genere umano ed è per questo che la sofferenza del mio animo è immensa”.
“Non dire così! Mi pare che tu stia esagerando!” lo interruppe bruscamente il grande albero.
Ma il piccolo abete vivo riprese immediatamente a parlare: “Sono stato strappato via dal bosco in cui vivevo lieto con la mia cara famiglia per essere utilizzato come albero di Natale, come perfetto simbolo del consumismo. Sono ancora molto giovane, ma purtroppo il mio destino è già segnato. Senza radici vivrò ancora per poco tempo e tra qualche giorno inizierà il mio inevitabile decadimento, che mi condurrà senza speranza verso la sorte che spetta inesorabilmente ad ogni creatura: la morte. Non arriverò a provare ciò che di piacevole può offrire la vita, ma neppure i tormenti che spesso accompagnano quella fase denominata vecchiaia. Ma tu, tu che sei finto e ti conserverai bene ancora per parecchi anni sarai in grado di capire fino in fondo la società dell’uomo nei suoi aspetti positivi e negativi e, quando il tempo ti avrà consumato, quando avrai perso il tuo aspetto tanto rigoglioso, quando per gli uomini non sarai altro se non un oggetto da buttare via, quando sentirai vicina la fine, allora capirai queste mie tristi riflessioni.” E, così concludendo il suo lungo discorso, il piccolo abete tacque e amare lacrime di resina bagnarono i suoi esili rami.
Il grande abete ascoltò attentamente le parole di quella creatura vivente e mentre un agghiacciante silenzio, più glaciale del gelo circostante, opprimeva le strade della città, esso cominciò a meditare sui discorsi di quel suo povero amico tanto infelice. In quei momenti avvertiva che in lui qualcosa stava cambiando: la gioia e la superficialità, con cui aveva da sempre guardato il mondo, avevano lasciato spazio nel suo cuore ad un velo di malinconia e ad un profondo stato di afflizione, che fino a quell’istante non aveva mai provato.
I giorni passavano. Tutta la gente che passeggiava per la via centrale restava incantata alla vista di quei due splendidi alberi magnificamente decorati. E arrivò Natale, e giunse Capodanno; nella notte della vigilia dell’Epifania i due abeti dialogarono per l’ultima volta.
“Comincio a sentirmi proprio male” disse desolato il piccolo abete.
“Mi dispiace molto” rispose con voce resa roca dalla commozione l’altro albero.
A questo punto il giovane abete proseguì: “Purtroppo queste feste, che si stanno per concludere, per me non hanno rappresentato altro che il preludio della mia morte. Guarda! Comincio a perdere tanti aghi e dopo il 6 gennaio verrò buttato via insieme al resto della spazzatura e quella sarà la mia ineluttabile fine: di me non resterà niente, se non forse qualche misero ago ed alcuni brandelli dei miei ornamenti sull’asfalto. Ti prego, quando il tuo occhio cadrà sui miei miseri avanzi, ricordati di me!” e, così dicendo, il piccolo albero si chiuse in un mesto silenzio.
“Grande e sincero amico mio, occuperai sempre un posto rilevante nello scrigno della mia memoria. Non ti dimenticherò mai!” replicò affranto il grande abete finto, che ormai aveva perso molti dei suoi entusiasmi e quel senso di totale serenità, che fino a quel momento aveva caratterizzato il suo animo.
La mattina del 7 gennaio i padroni della profumeria, appena giunti davanti al nego-zio, esclamarono: “Com’è diventato brutto quest’albero! Quanti aghi ha perso durante la notte e come sono rovinate le sue decorazioni! Appena arriva il camion della spazzatura lo butteremo via insieme agli altri rifiuti”.
Ascoltando queste parole il piccolo abete con dignitosa rassegnazione sussurrò al suo amico: “Ecco: oggi è il giorno della mia fine. Addio!”
Dopo pochi minuti i negozianti portarono via il povero albero e lo gettarono malamente in mezzo all’im mondizia. Il grande abete finto osservò quella scena attonito; un profondo stato d’angoscia lo assalì e, ripensando ai discorsi della sera precedente, cominciò a riflettere sulla società dell’uomo, una società dove trionfa il consumismo, dove primeggia l’ideale dell’apparenza e dell’estetica, dove spesso i giusti e veri valori vengono calpestati dall’indifferenza, dalla cattiveria, dalla meschinità e quanto ribrezzo, rabbia e sdegno provava il suo sensibile animo! A questo punto della sua vita esso era ormai definitivamente uscito da quello stato di beata incoscienza, che lo aveva tanto felicemente illuso e che gli aveva permesso
di cogliere solo ciò che di piacevole e di positivo credeva che costituisse il mondo circostante. Per tutto il corso di quella giornata l’abete rimase ad osservare con malinconia gli aghi del suocaro amico, che ancora giacevano sulla strada. Talvolta la furia del freddo vento invernale rapiva i resti dell’albero e li trasportava nel suo tempestoso turbinio. Ad un tratto una commessa della profumeria uscì dal negozio e velocemente spazzò via dall’asfalto gli ultimi aghi, gli ultimi frammenti di quel povero giovane abete morto.
Verso sera il grande albero di Natale finto venne portato in una squallida e polverosa soffitta del negozio di giocattoli perché, dato che era ancora decisamente in buone condizioni, i padroni avevano deciso di conservarlo in quel luogo per riutilizzarlo in occasione delle prossime festività. Esso fu deposto in un cantuccio davanti alla finestra, che si apriva sulla via principale; lì avrebbe passato molti mesi vicino a balocchi di ogni genere. Con il trascorrere del tempo la sofferenza interiore del grande abete si acuiva sempre di più nell’osservare molte azioni riprovevoli commesse dall’uomo. Immerso nella penembra della stanza esso, attraverso i sottili vetri della finestra, studiava i differenti comportamenti degli uomini e, oltre alle gradevoli scene di bontà, d’amore, di generosità, purtroppo notava numerosi episodi di violenza, di viltà, di volgarità, di egoismo, di falsità, di ipocrisia, e che pena e che disprezzo nutriva nei confronti della
società dell’uomo contemporaneo! E, dentro di sé, si chiedeva se le virtù e i difetti, che inevitabilmente osservava, non accomunassero l’uomo di ogni epoca storica.
I mesi e le stagioni si susseguivano veloci e l’abete si deteriorava sempre più, non solo a causa dell’inevitabile logorio dell’incedere del tempo, bensì soprattutto per i tormenti, che venivano inflitti al suo nobile cuore. Infatti esso perdeva ogni giorno di più la sua sfolgorante bellezza: alcuni dei suoi rami ricchi e rigogliosi pendevano sotto il peso delle palline sempre più opacizzate e, tutte le volte che esso rifletteva sulle malvagità e atrocità del mondo, i suoi addobbi e le sue decorazioni si accartocciavano in modo irreparabile.
“Quell’albero è veramente orribile!” esclamò il ragazzo.
“Hai proprio ragione. È davvero rovinato e brutto! Non ho mai visto un albero di Natale ridotto in quelle condizioni. Se appartenesse a me lo butterei nella spazzatura oggi stesso.” rispose con convinzione la fidanzata.
Così, dopo aver criticato, offeso e schernito con epiteti di ogni genere il povero abete, i due giovani si allontanarono, proseguendo allegramente per la loro strada. Il vecchio abete, che aveva fissato con
attenzione il volto di quel ragazzo ed ascoltato le sue spietate parole, si ricordò improvvisamente di lui. Con dolore rammentò che si trattava proprio del bambino, che si era recato per tanti anni ad acquistare giocattoli in quel negozio e che, prima di entrare, restava estasiato alla sua vista, quando esso era un gigantesco e meraviglioso albero; in quell’occasione per alcuni istanti il fanciullo si soffermava ad accarezzare con le sue delicate ed innocenti manine le splendide, sfarzose decorazioni e le luccicanti palline. E che esclamazioni di apprezzamento pronunciava! Ma adesso il vecchio abete aveva il cuore straziato dal dolore al pensiero di non servire più a niente, perché ormai non rappresentava più quello che per l’uomo è
uno dei più appariscenti simboli di un consumismo, che arrivava anche a stravolgere il più vero ed intimo significato del Natale. Ormai esso aveva conosciuto fino in fondo tutti gli aspetti di questa società vuota e superficiale e quest’ultimo, amaro episodio aveva aggravato ancora di più il suo stato di forte prostrazione. Dopo questo triste avvenimento il suo aspetto esteriore peggiorò ancora notevolmente.
L’ultimo giorno delle vacanze i padroni del negozio di giocattoli, dopo aver constatato le disastrose condizioni del vecchio abete, presero la decisione di buttarlo via la mattina seguente per acquistarne uno nuovo per l’anno successivo, un bell’albero degno di essere esposto nella strada più elegante della città.
Ormai il povero e debole albero era rassegnato al suo destino ed avvertiva l’ombra della morte sempre più incombente. Fu proprio in quegli angosciosi momenti che esso rammentò quel caro, giovane abete, amico d’un tempo tanto lontano ed arrivò a rimpiangere persino la sua fugace vita e la sua fine precoce. Infatti la sua agonia era stata breve rispetto alla propria e tanti patimenti gli erano stati risparmiati: non aveva dovu-to assistere alla morte dei suoi cari familiari e non aveva avuto modo di cogliere in tutti i suoi aspetti la miseria spirituale dell’uomo, per il quale spesso le qualità principali sono legate all’apparenza ed al vigore fisico.
Oppresso dalla più assoluta solitudine, l’abete meditò per tutto il corso della sua ultima notte, riflettendo ed arrivando a paragonare il suo misero stato attuale al declino ed alla vecchiaia nell’uomo. Esso ricordò il passato ed in particolare alcune sgradevoli scene, che lo avevano fatto profondamente soffrire. Infatti l’abete, durante la sua lunga esistenza, aveva assistito a molti episodi di scherno e soprattutto di emarginazione nei confronti delle persone anziane che, spesso, ad un certo punto della loro vita vengono consi-derate, persino dai parenti più stretti, soltanto un peso da eliminare e perciò esseri inutili da abbandonare
o da rinchiudere in ricoveri od ospizi. Il cuore del vecchio albero era perciò straziato dal dolore al
pensiero del comportamento dell’uomo, che può essere così spieiato verso i deboli e gli indifesi, proprio come gli anziani spesso ammalati e privi di ogni vigore.
L’angosciosa attesa della morte durò fino alle prime ore del giorno seguente, quando l’abete fu gettato in malo modo dalle commesse del negozio in mezzo ai rifiuti. Durante il trasporto da un marciapiede all’altro, però, da uno dei suoi logorati rami si staccò e cadde in terra una pallina rossa, raffigurante l’immagine del presepe. Quella pallina, ormai anch’essa ridotta in condizioni pietose, era l’unica a cui l’albero si sentiva profondamente legato, poiché in quel piccolo spazio era racchiuso tutto il vero senso del Natale ed ecco che, prima di spirare, il povero abete assistette ad un’ultima dolorosa e struggente scena.
Un fanciullo che stava per entrare nell’emporio dei giocattoli, raccolse incuriosito proprio quella consunta pallina e con entusiasmo la mostrò alla mamma che invece gli urlò arrabbiata: “Butta via immediatamente quella roba vecchia e sporca!” e così dicendo la donna schiaffeggiò la mano del bimbo, che mollò la pallina, la quale rotolò in mezzo alla strada e finì per essere schiacciata sotto le ruote di un’auto, che sfrecciava di lì proprio in quel momento. Quel gesto di estremo disdegno nei confronti di quel suo ultimo frammento, quel gesto con cui veniva così anche disprezzato l’autentico significato del Natale inflisse il colpo finale al debole cuore dell’abete, che si fermò per sempre tra l’indifferenza della gente, che passeggiava tranquilla per quella via.
Non restò così nulla di quel misero albero, neppure quell’emblematico simbolo di un Natale, da molti vissuto solo nell’ottica del più sfrenato consumismo.
***
Dal libro Il vento dei sentimenti di Sara Ciampi
Carissima Sara,
in questo testo hai racchiuso le grandi verità della vita che la gente mai ammette, ma che sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuol vedere l’evidenza dell’indifferenza, toccando le corde più profonde e sensibili dell’animo umano.
L’albero finto che, vedendo la sofferenza altrui, ha compreso il mondo da altri punti di vista, andando oltre la superficie perbenista e spesso ipocrita, è una meravigliosa metafora dell’ingenuità che va combattuta per comprendere appieno il mondo.
Prosegui per la tua strada col coraggio della verità.
Un caro saluto,
Francesco
Gent.ma Sara
questa storia è permeata dalla nostalgia che invitabilmente ci avvolge durante le festività natalizie (chi di noi è totalmente felice in quel periodo?) e che non sappiamo da dove arriva, probabilmente anche da storie come queste…
Complimenti per la narrazione e… per il prosieguo.
Sabato P.
La metafora della vita rifulge in due alberi di Natale. E il pessimismo dell’ esistere permea ” Il vento dei sentimenti ” .
Una bora travolge ogni emozione positiva per spegnersi nel mare in burrasca della melanconia.
L’ egoista sembra prevalere e vincere. Ma a sconfiggerlo basta una virgola di generosita’.
Sara descrive il Natale. Pero’ all’ orizzonte s’ intravvede la Pasqua. E un Amore che rinasce.
Dal se’ all’ altro bisogna attraversare la foresta, quella della propria meschinita’. E allora anche il vecchio acquista valore. Il valore infinito della dignita’ di ogni persona.
Gaetano
Complimenti a questa autrice, scrive in modo così bene che mi sembra di vedere un film mentre leggo e provo le emozioni descritte.
complimenti all’autrice trama fresca e giovane….di semplice comprensione e molto dettagliata…
La poesia di cio’ che ci circonda si puo’ cogliere abbastanza facilmente, se ci si dimentica di tutto cio’ che e’ inutile al giorno d’oggi… e se ci si lascia invece trasportare dal forte. impetuoso vento dei sentimenti…
Complimenti, un brano davvero intenso e toccante… questo libro deve dare un’emozione unica!!
Gentile Sara,
In questo estratto del Suo libro ha saputo cogliere in modo così preciso e profondo i sentimenti e le atmosfere che gravitano attorno ai due alberi, che è quasi impossibile aggiungere dell’altro.
Chi scrive è una convinta “seminatrice” di ricordi: non getterei mai via gli oggetti del mio passato; in ognuno di loro c’è un pezzetto di me.
Purtroppo, in quest’epoca dove il consumismo la fa da padrone, e dove la novità è solo un balsamo momentaneo per l’anima, si tende a dimenticare il nostro passato, anzi, lo si fa letteralmente a brandelli.
E come ci si comporta nei confronti delle cose, così lo si fa nei confronti delle persone della nostra vita: cosa importa se un anziano è solo e senza compagnia, tanto noi abbiamo 4.321 amici sul social network più alla moda…
Allora, come immaginare i due alberi che hanno fatto una così brutta fine? Io li vedo lì, in un altrove genericamente felice.
Complimenti e spero tanto di potere leggere il libro per intero.
Un saluto,
M.Grazia P.