Da Cantata ultima –
Ancora pochi metri ed il sentiero bruscamente si aprì su una radura che i pini attorno racchiudevano come un’ aiuola.
Steno si fermò accarezzando con lo sguardo l’erba alta dei prati e i fiori su cui alcune farfalle a turno sostavano: non avevano ancora falciato, si disse. Poi si diresse ad una tavola posta su due tronchi, in un angolo, si sedette e bevve dalla borraccia che portava a tracolla; quindi stirò con la mano, accuratamente, il quadernetto tolto dallo zaino ed osservò la sequenza di note che, il mattino, aveva in fretta segnato sul pentagramma.
Era ad un terzo della Cantata, per soli-coro ed organo, che si era proposto di scrivere quasi a coronamento della propria carriera di musicista. L’idea gli era venuta un giorno, durante la visione di un film di guerra: accompagnato da un canto intenso e struggente, un gruppo di soldati camminava su un campo di girasoli; lo scenario era di una bellezza incomparabile. All’improvviso la terra si era sollevata e tutto aveva cambiato aspetto: del campo di girasoli non era rimasto che qualche stelo nero, della canzone più nulla; solo fumo e silenzio. Terminata la visione del film, lui si era alzato, si era diretto al pianoforte e si era messo a suonare, cercando di dare una voce alle emozioni che gli si accavallavano nell’ animo, di trasformare in suoni i pensieri che via via gli comparivano nella mente. Era nato così il tema della composizione che si era prefisso di scrivere. Aveva anche scelto la tonalità: sol minore. Senza parlarne ad alcuno (se non agli amici più intimi), si era messo all’opera: i temi conduttori gli erano venuti di getto, poi si era un po’ bloccato nel comporre la grande fuga che avrebbe concluso il primo dei tre tempi in cui doveva essere suddiviso il brano musicale. Leggendo ora le ultime battute scritte prima di fare colazione, si disse che l’idea di fondo c’era; aveva però bisogno di un certo sviluppo. La sua opera doveva parlare del grande mistero (da dove veniamo, dove andiamo), ma circondandolo di fragranze di terra; doveva richiamare l’infinito, trattare dell’inconscio desiderio di andare oltre la comune realtà, ma presentare anche le nostre angosce, i nostri piccoli drammi quotidiani. L’aveva compreso il giorno in cui aveva assistito al pianto di un bambino muto.
Si trovava in città, allora, per un concorso di composizione.
Percorreva velocemente un vicolo cercando di calmare la tensione e riordinare le idee, quando la scena che si stava svolgendo sotto l’androne di un vecchio palazzo lo aveva bloccato: un bambino di sette/otto anni si teneva aggrappato ai pantaloni del padre e non voleva lasciarli. Costui lo invitava a seguire un signore vestito di nero che attendeva lì accanto, ma il bambino non voleva sentire ragioni: lo fissava implorante, compiendo dei gesti con le mani. Alla fine l’uomo in nero riuscì a staccarlo dal padre e trascinarlo oltre 1’androne, in un cortile che si intravedeva appena. Lo sguardo del piccolo non abbandonò mai il padre, mentre grossi lacrimoni scendevano a bagnargli le labbra mute. La targa posta accanto al portone d’ingresso fece comprendere a Steno che quello era un collegio per sordomuti.
«Di questo devi scrivere», si disse allora, «altrimenti sono solo note, solo suoni privi di emozioni».
Guardò in alto, tra i rami di pino, cercando di individuare i due piccoli uccelli che si inseguivano cinguettando; poi il suo sguardo cadde sulla ragazza che sbucava dal sentiero: un ricciolo biondo s’attorcigliava alla fascia che le fermava i capelli e quasi danzava al ritmo del vento. Gli sorrise, passando, ed a Steno ricordò Lisa.
Si erano conosciuti alla stazione ferroviaria: la voce di lei, dalle inflessioni ancora infantili eppure così calda e musicale, l’aveva subito colpito; la ragazza poi lo aveva fulminato con lo sguardo quando, inavvertitamente, si era seduto nel posto da lei abitualmente occupato sul treno.
«Ma perché vivi solo?», gli aveva chiesto un giorno. «Sei proprio sprecato».
Lisa … la sua tentazione, si disse Steno riponendo il quadernetto nello zaino.
Un raggio di sole, filtrando tra i pini, animò con un guizzo il portachiavi d’argento sprofondato tra vari oggetti nello zaino.
Lo tolse da quel posto e lo guardò: un bel ricordo, ormai quasi un amuleto dal quale non si separava mai. Un tempo sosteneva una chiave, “la chiave della felicità” dell’appartamento di Nadia.
Steno sorrise ricordando quanti motivi aveva posto in campo per farsela dare. Si alzò e scese al torrente, tra i sassi che ogni tanto formavano piccole dighe cercando di ritardare la corsa dell’ acqua verso 1’anonimato del fiume e poi del mare. Anche lui, da un po’ di tempo, era in corsa verso il mare della vita, verso quell’ oceano nel quale ogni individuo scompare senza lasciare traccia.
Se ne era reso conto, con stupore, una sera mentre analizzava i fatti accaduti nelle ultime settimane. Era in corsa e forse il traguardo non era lontano.
CANTATA ULTIMA di Modesto Baseotto – VENILIA EDITRICE, 2010 – pag. 166
Il commento di NICLA MORLETTI
Una raccolta di racconti che si apre con “Cantata ultima”, quasi una melodia di frasi e parole a cui fanno coro le storie che seguono: Mimose, Storie di Gò, Esondazione, La fantasia perduta, L’aquilone, Il mingrillo, Il Segretario H, La medaglia, L’esperimento, Il quindici, Carezze. Tutti racconti che spaziano nello scibile umano: fiabe allegoriche, squarci di realtà quotidiana, vicende appassionanti. L’autore, con abile maestria e sentimento, esplora nei meandri dell’animo umano, medita sul senso del destino e delle scelte, dando forza e valore alla parola scritta. Il tutto in un linguaggio sobrio, morbido, talora struggente, il cui messaggio è universale.
Dalle parole tratte da questo primo racconto si evince l’abilità dell’autore nel gestire le emozioni attraverso le parole e la musica che sembra essere la colonna portante di questo racconto.
Squarci di vita vissuti e momenti in cui interrogarsi della vita, delle scelte fatte e di cosa può riservare il destino.
Davvero bello! Mi piacerebbe leggere anche il resto dei racconti.
Leggendo questa breve introduzione, ho come la sensazione che il protagonista, Steno, vivesse una sorta di flashback.. perché mentre è nel torrente ricorda queste ragazza, Lisa e poi Nadia…è come se fosse una sorta di romanzo nel romanzo…tanti frammenti di vita, di realtà che poi compongono i ricordi del protagonista…e questi ricordi non possono che essere accompagnati che da una musica “speciale”, secondo me per rendere il tutto un qualcosa di magico..di appassionate…
La musica deve essere la colonna sonora della vita, parlare di emozioni, esprimere emozioni, «altrimenti sono solo note, solo suoni privi di emozioni».
I piccoli gesti di vita quotidiana, il dolore muto di un bambino muto come il suo dolore, un ricciolo biondo che danza nel vento sono le note spesso acute, cupe, altre volte allegre e briose che compongono l’armonia delle nostre esistenze.
Per questo poi, un giorno ognuno di noi, potrà scriverle ricordando di dire la sua nel fiume della vita.
Tanti racconti, tanti modi di vedere il mondo, di raccontarlo… tanti modi di conoscere ed apprezzare un autore
Appassionante e tremendamente romatico. Fluido lo stile e fervido il ritmo. L’autore con enorme maestria ci incuriosisce, ci solletica e ci accarezza l’anima. Molto bella l’immagine del compositore che riesce a prendere spunto in ogni attimo della sua vita per creare meravilgiose melodie.
” Folle sentimento ” definisce l’ amore una canzone (popolarissima) degli anni Settanta del Novecento.
Perche’ esso non ha regole. Ne’ misura. E l’ unico metro di riferimento e’ Dio.
Steno lo intuisce. E ricorda il suo trsporto per Nadia, ovunque un episodio lo rimandi con la memoria del cuore.
” Cantata ultima ” e’ la la prima opera che terrei in biblioteca.
Gaetano