La morte con i tuoi occhi –
Quella doveva essere una serata uguale a tante altre, la solita monotonia.
Il crepuscolo, un grande occhio nero proiettato nell’infinito; a Max niente avrebbe cambiato la sua umile brutale esistenza… Ormai era certo che sarebbe invecchiato senza combinare nulla di buono nella vita. Con le donne non ci sapeva fare: gli amici gli avevano appiccicato addosso il triste destino d’esser un misogino, un destino che lui ricusava con violenta impotenza pur riconoscendo nell’intimità sessuale che quel destino era la sua vera natura. Non rare erano le volte che si provocava scarificazioni di ogni tipo, giusto per sentire che ancora era vivo; e non di rado la sua frustrazione finiva in eccessi di violenza gratuita contro la sorella. Per un nonnulla l’accusava d’esser una zambraccia: bastava che si pittasse con un po’ di rossetto perché Max montasse su tutte le furie; ed allora volavano schiaffi, e le lagrime di lei si consumavano nei singulti, nel silenzio della sua camera. Simili scenate di gelosia, quasi incestuosa, avevano luogo soprattutto alla sera quando Max sentiva opprimente il peso d’una solitudine non voluta: il telefono non squillava mai per lui e questo fatto lo faceva andare in bestia. Odiava la sorella che si preparava per uscire: dentro di sé sentiva pulsione di farle del male, di possederla in qualche modo, e se non fosse stato per la moralità cattolica, che suo malgrado nutriva in seno, le sarebbe saltato addosso per darle il fatto suo. Poi la rabbia scemava e la debolezza lo faceva prigione della sua verginità. Sbattendo la porta della camera di sua sorella, Max trovava rifugio davanti alla finestra, cercando indarno di rattenere le lagrime. Nella mente mille immagini si sovrapponevano in una confusione che non poteva non scatenargli una forte emicrania nervosa: non negava a sé stesso d’aver paura della sua natura tanto fragile, e l’apparente quiete del cielo spiato attraverso il vetro macchiato dal fumo di città era per lui un’ulteriore conferma che l’essere umano era soltanto un errore biologico prodotto e riprodotto nel corso dei secoli.
La notte, come negro sudario, l’avvolgeva e Max si buttava sul letto: il peso morto del suo corpo lo spaventava, ma in un certo senso era piacevole sapere che, da un momento all’altro, un qualsiasi inopinabile evento avrebbe potuto porre fine alla sua vita, magari a quella di tutto il genere umano.
Sul giradischi lasciava che i vecchi 33 giri dei Doors esplodessero nel loro lamento; ogni tanto compulsava le poesie di Arthur Rimbaud, un libro ormai consunto, l’unico che aveva in casa e che il padre gli aveva lasciato prima di andarsene per sempre con la nuova compagna. Odiava Rimbaud, quello spirito ribelle che per narcisismo paragonava a sé stesso; guardandosi allo specchio trovava che anche lui era un angelo caduto. E la fantasia gli suggeriva che, da qualche parte nel mondo, forse, esisteva un gemello per ogni uomo di questa Terra. Poi la musica cessava e Max usciva: prendeva la vecchia Cinquecento rossa che il padre gli aveva lasciato e lasciava che il traffico torinese ingolfasse anche la sua anima.
* * *
“Allora che facciamo?”, gli chiedeva Dario, un tipo in carne, rubizzo, sempre con un cachinno e la battutina acida pronta, a bruciapelo, fosse o meno l’occasione adatta per scherzi fra amici.
Max non si scomponeva: da troppo tempo era avvezzo a questa accoglienza e se non oggi, domani si sarebbe risolto a lasciar naufragare l’amicizia che teneva con Dario, quell’amicizia che tanto tempo addietro Max aveva tradotto in una sorta di privata amicizia adatta a un confessionale. Alzava le spalle, poi bofonchiava il nome d’un locale e partivano in silenzio. Entrambi non avevano più niente da dirsi: le loro conversazioni erano frammenti di vetro, bagliori di lucida cattiveria reciproca; e quando parlavano era più per abitudine che non per naturale necessità di stabilire un contatto umano. Parlavano soprattutto di motori: la tecnica e i principi fisici che fanno funzionare le macchine erano diventati l’interesse principale di Max, che nella fisica, nelle macchine, sperava di trovare una risposta ai suoi dubbi esistenziali. Dario gli dava corda, sin troppa: si prendeva gioco della sua depressione; tuttavia Max pure a questa cattiveria s’era ormai abituato da tempo. Premeva sull’acceleratore, senza quasi far caso alla segnaletica stradale, convinto che la morte non lo avrebbe preso di certo incastrando le sue carni in una scassata Cinquecento, un motore che conosceva come le sue tasche e sul quale aveva lavorato più d’una notte.
“Andiamo a beccare Andrea?”
Dario sbuffava, Andrea non gli piaceva; riteneva che fosse un intellettualoide noioso.
“Lui c’ha i soldi… Gli si scrocca qualcosa. Non c’è neanche bisogno di chiederglielo. È lui a farsi avanti: credo che provi una sorta di piacere masochistico a farsi svuotare le tasche”, diceva allora Max per convincere Dario.
Le serate si risolvevano in una noia assoluta: intorno a mezzanotte Dario s’alzava, ingollava quel che rimaneva della sua birra e si congedava. In un modo o nell’altro riusciva sempre a tornarsene a casa da solo: “Non preoccupatevi per me. Con calma torno a casa e mi sparo un pornazzo!” Non diceva altro: stringeva la mano a Max e ad Andrea e si defilava inghiottito dalla notte.
“Non esiste più l’amicizia”, attaccava allora Max. Rimaneva pensoso qualche attimo, perso a fissare una delle tante ragazze indaffarate a servire i clienti che stavano dietro al bancone, poi sospirava.
Andrea era tipo che non si scomponeva per simili constatazioni; anche lui aveva finito col fare il callo alla depressione dell’amico e non aveva alcuna intenzione di farlo inalberare. Si accendeva una sigaretta e rimaneva quasi sempre in silenzio sicuro che Max avrebbe cominciato a confessarsi. E ogni sera le parole erano uguali a quelle dell’ultima volta, un rito.
“Cosa vuoi che ti dica? Si nasce, si vive e si muore da soli: è l’esistenzialismo. O se preferisci è la vita, punto e basta.”
Max rimaneva sempre scontento da questa risposta troppo filosofica per lui: “Cazzate! Preferisco un motore su cui metter le mani. Almeno quello sai come funziona, e se non lo sai ti ingegni da solo a capire.”
Andrea a questa replica si lisciava i baffi, rispondendogli che la vita è la vita, la poesia una puttana vergine per catturare unicorni, mentre i motori roba inventata dagli uomini, quindi comprensibili avendo le dovute conoscenze tecniche. Non era sua intenzione smontarlo, però si rendeva conto che in un certo qual modo lo deludeva: l’amico gli chiedeva una risposta alla vita e lui gli sfasciava la testa con ragionamenti filosofici e poetici, che alla fine si concretizzavano in un cazzo di nulla. Allora, quasi per scusarsi, Andrea aggiungeva: “È un serpente che si morde la coda, di più non so.” E la questione su cosa fosse la vita finiva lì, almeno per il momento.
Angeli caduti di Giuseppe Iannozzi – Cicorivolta Edizioni, 2012 – pag. 230
Il commento di NICLA MORLETTI
La scrittura di Giuseppe Iannozzi è eloquente, limpida, moderna. La prosa di chi ha dimistichezza e scioltezza con la parola e l’uso della lingua italiana. Ben tratteggiata e delineata è anche la psicologia dei personaggi con le loro pulsioni ed emozioni. Una scrittura autentica e genuina nello scorrere degli eventi e delle passioni dunque, quella che caratterizza il romanzo “Angeli caduti” di Iannozzi.
Max, il protagonista, a sera, si butta sul letto: sul giradischi lascia che i vecchi 33 giri dei Doors espoldano nel loro lamento. Poi legge le poesie di Arthur Rimbaud. Si tratta di un libro che suo padre gli ha lasciato prima di andarsene per sempre con la sua nuova compagna. Ed anche Max, come Rimbaud, si considera un angelo caduto. Ma gli angeli, dico io, brillano sempre di luce propria, anche quelli caduti. Ottimo lo stile, ottimo il libro. Da leggere sicuramente.
Max vive depresso e violento,
la sua esistenza e’ un tormento.
Dovrebbe registrare il suo motore,
che si chiama- per l’ uomo – cuore.
” Angeli caduti ” ricorda che l’ Inferno
puo’ esser caldissimo anche d’ inverno.
Ne’ filosofia ne’ ragionamenti
sciolgon i dubbi forti o latenti.
E pensar che basterebbe un sorriso
per render la Terra un Paradiso.
Gaetano
[…] pagine, l’influsso di Fante o di Bukowski, in altro no, si sente la voce dell’autore. Qui una recensione. […]
[…] pagine, l’influsso di Fante o di Bukowski, in altro no, si sente la voce dell’autore. Qui una recensione. […]
un modo di scrivere avvincente
un tema che conquista gli animi
un desiderio infinito di proseguire la lettura di questo libro
Cara Adriana,
grazie del bel commento. Mi auguro di sì, che il tema trattato, non poco difficile e attuale, spinga alla lettura di questo lavoro e a delle riflessioni da parte dei lettori in merito alla deriva che la nostra società sta prendendo.
Ringraziandoti ancora, un forte abbraccio e buona lettura con “Angeli caduti”.
beppe
Molto spesso l’insoddisfazione della propria vita, a volte insignificante, che ci fa vivere la società, viene proiettata su qualcosa o su qualcuno, convinti che con un capro espiatorio, si possano scontare tutte le colpe e quindi redimersi per una vita altra, direi migliore…e in questo caso Max proietta il proprio disagio sulla sorella…e mentre Rimbaud, Verlain e altri, i cosiddetti “poeti maledetti”, manifestavano le proprie frustrazioni sulla poesia, Max l’esprime in questo modo..finendo per adagiarsi sugli allori e accettare questa vita “maledetta” ..
trovo che il titolo rifletta esattamente ciò è il protagonista, un “Angelo caduto”, apparentemente un “diverso”.. ma credo che in questa sua diversità stia l’originalità..cioè il non adattarsi a questa vita insignificante.. ma a suo modo cercando uno scopo a questa vita…
complimenti all’autore per la delicatezza con cui ha saputo affrontare un argomento che attanaglia la società…
Cara Maddy,
innazitutto grazie per aver qui commentato l’estratto del libro. Hai ragione, Max, a suo modo si crede un maledetto, non a caso ha un libro solamente in casa, le poesie di Rimbaud; ma mentre il giovane Arthur sfogava le sue frustrazioni attraverso la poesia per poi abbandonarla e cacciarsi in Africa (forse diventando un negriero, uno sfruttatore e un pappone), Max cerca un capro espiatorio nella sorella che lui crede esser stata baciata dal cielo. Come Rimbaud, anche Max cercherà la compagnia di alcune ‘donnine allegre’, ma non posso qui raccontare tutta la storia. Di sicuro c’è un parallelismo esistenziale fra Rimbaud e Max, seppur molto diversi e inseriti in due contesti storico-culturali lontani.
“Angeli caduti” è il titolo che ho scelto: altri titoli a cui si era pensato, ‘angeli meccanici’, ‘senza futuro’. Alla fine però ho scelto “Angeli caduti” perché, come ben evidenzi, i personaggi che sono in questo lavoro sono guardati dalla società come dei diversi, talvolta come dei derilitti e delle vittime sacrificabili. Ma se davvero sono dei diversi, il loro agire è proiettato a cambiare la società che si vivono addosso. Nessuno di loro è un eroe né mai lo sarà: sono invece persone comuni che gridano la loro rabbia e che la fanno sentire. E’ forse poco, ma in una società che non ascolta, gridare il proprio malessere è già qualcosa più di niente, non sono difatti rari i casi di cronaca che vedono tanti indignados urlare per esser subito tacitati a forza di manganellate e non solo.
Grazie infinite. Spero di cuore di meritare i tuoi complimenti, così come quelli di quanti sono sino ad ora intervenuti in questo thread.
Un caro saluto e un abbraccio
beppe
Complimenti all’autore per il modo così chiaro e diretto nell’affrontare un disagio sociale tipico di questo nostro tempo.
Leggendo questo breve estratto si riesce a percepire una naturalezza e semplicità nell’esprimere pensieri e dubbi esistenziali che attraversano il genere umano ed una società di disadattati che per nulla si lasciano trascinare dal pensiero comune, ma sembrano quasi essere “fuori dalla norma”, appunto degli “angeli caduti”, venuti sulla terra per risvegliare il genere umano alla conquista di ciò che di più prezioso ha perso e che potrà scovare solo scavando dentro sè stesso e non fuori.
Cara Teresa, in primis, grazie infinite del tuo spontaneo commento che mi fa molto molto piacere.
I personaggi sembrano sì, “fuori della norma”: sono degli ‘angeli caduti’, colpa della società in cui viviamo che non dà loro certezze, neanche minime, e quasi mai una speranza a cui poter guardare, L’orizzonte che si trovano di fronte è purtroppo vuoto; ciò non ostante, a loro modo, cercano di sopravvivere spingendosi oltre l’orizzonte vuoto alla cerca di un qualcosa che nemmeno loro ben sanno. E però se non si spingessero oltre, rimarrebbero per sempre degli emarginati, dei figli di una società battuta e corrotta ab imis. Tutti sono coscienti di vivere ai margini, di essere vilipesi e non graditi, di essere degli ‘non amati’: i viaggi che affrontano sono anche un profondo scavare nel proprio IO perché non sia proprio il loro IO la prima e ultima prigione.
Leggo questo estratto senza conoscere l’intera opera e nasce in me il desiderio di leggerla tutta. La spirale verso l’abisso nella quale il personaggio Max ti conduce è affamata e prepotente, non ti lascia scampo né salvezza. La bravura dell’autore è proprio quella di annullare la distanza tra storia e lettore costringendoti a vivere, più che a leggere. Le tinte crepuscolari, le grandi domande, i molteplici tipi di rapporti, tutto scorre come un evento naturale, incontrastabile, e mentre stai per porre una domanda ecco che l’autore pronto te ne pone un’altra, costringendoti ad accelerare i tempi di risposta, a non indugiare nella riflessione sterile, ma piuttosto a vivere accanto ai personaggi un incubo tanto infernale quanto concreto, reale, come tante vite intorno a noi. Un incubo chiamato vita, appunto. Eccellente prova.
Cara Titty, spero ben di sì, che il desiderio sia appunto quello di leggere questo mio nuovo lavoro, dopo anni di voluta e ricercata assenza dal mercato editoriale, e mi auguro vorrai poi leggere anche il nuovo romanzo che uscirà nel marzo 2013 e che ha per titolo “L’ultimo segreto di Nietzche”.
Hai detto più che mai bene, superando il critico e l’autore: “un incubo chiamato vita”. Racconto di personaggi che la vita la subiscono, ma che che, a loro volta, non sono soltanto delle semplici vittime, sono difatti anche dei carnefici di sé stessi e di quanti gli stanno intorno. Questo brano ha una ambientazione crepuscolare e non poteva essere altrimenti, giacché l’esistenza che conducono i protagonisti è perlopiù nel ‘grembo della notte’ alla disperata ricerca d’una birreria dove poter affogare i propri pensieri e tormenti. Al lettore, in maniera neanche poi tanto sottintesa, propongo delle domande, o meglio lo invito a porsi delle domande. C’è tanto esistenzialismo: si nasce si vive si muore da soli, questa la filosofia che metto IN NUCE. L’augurio che si puo’ fare a queste anime in pena è di saper morire con un sorriso sulle labbra, proprio come Camus, se destino loro è proprio quello di non essere più.
Grazie infinite, Titty. Hai commentato in maniera davvero eccellente scavando nella profonda intimità del brano qui proposto.
Crepuscolare e metallico come il profilo di uno scenario post industriale. L’estratto da “Angeli Caduti” di Giuseppe Iannozzi trasferisce in un limbo di pulsioni esistenziali corrose quanto vitali, avviluppando in una spirale di edonismo mascherato da nichilismo, che dalla fame di piacere frustrata trae la sua origine. I personaggi aleggiano come spettri, come anime in pena, ricordando ai lettori che la battaglia persa contro finitudine è il più grande degli eroismi. Da leggere.
Una delle impressioni che puo’ sicuramente suscitare è quella di uno scenario post industriale, come hai ben evidenziato, cara Mara. Non a caso la storia si snoda nella periferia torinese, banlieue nostrani dominati da grandi agglomerati di case popolari, di povertà, di traffici e di disperazione oltreché di rabbia. Hai sottolineato un aspetto molto molto importante di questo racconto: “la battaglia persa contro finitudine è il più grande degli eroismi”. Max è un eroe che vive e subisce una sconfitta sociale e proprio per questo, suo malgrado, è eroe: bene o male resiste alle sue pulsioni, anche alle più belluine, nonostante il disincanto e il nichilismo che oramai gli ammorbano l’anima.
Grazie, cara Mara. Davvero una critica coi controfiocchi. Grande spirito di analisi il tuo, ma da te non mi aspettavo di meno: sei uno spirito illuminato.
beppe
Mi piacciono queste righe disincantate eppur cariche di una memoria d’intensità di vita. Mi piace il rimpianto carico di una rabbia da tradurre in azione; ma soprattutto il senso di una visceralità sublimata in lirismo. Tutto questo mi fa l’effetto di certe commedie italiane agrodolci anni ’90/2000, che magari vedo sul divano di casa, su Sky, mezzo cotto dopo la fine del lavoro, quando ho bisogno di sentirmi accolto nella vita di qualcun altro. Bravo Giuseppe Iannozzi.
Caro Giovanni, il disincanto permea tutto il racconto: siamo difatti di fronte a dei beautiful losers, in una coniugazione à la Leonard Cohen. I personaggi si muovono nella periferia di una città che non offre loro possibilità di riscatto: non hanno grandi sogni né opere da realizzare. Per Max l’aspirazione massima è quella di avere una vita normale, non chiede altro: una famiglia e un lavoro. Ciononostante è per lui, e per chi come lui nella stessa condizione, una mèta non raggiungibile. L’unica consolazione che puo’ permettersi è di avere degli amici accanto, che però sono non meno disincantati di lui. Ma neanche gli amici più stretti serviranno a donargli un po’ di pace. Arriverà il momento in cui dovrà decidere se rimanere o se andare… sulla strada alla ricerca di sé stesso.
Grazie infinite di questa critica puntuale e precisa. Un forte abbraccio a te.
beppe
Giuseppe scrive come un grande pittore , è questo che mi ha sempre affascinata del suo modo di narrare. Quando lo si legge,se attenti lettori,le parole che scorrono sotto gli occhi pian piano vengon sostituite da nitide immagini che trasportano nelle situazioni narrate sino a percepirle quasi fisicamente e nell’anima . Come non sentirsi seduti a quel tavolo ,immaginarsi i volti di Max e degli amici e percepirne l’opprimente disperazione ? Angeli caduti è a mio vedere un gran libro,non vi è parte in esso che non abbia lasciato un segno in me. E questo quando leggo è ciò che desidero.
Buona giornata a tutti.
Cinzia
Cara Cinzia, il tuo commento è per me fin troppo lusinghiero, così solletichi e non poco il mio orgoglio, e di ciò te ne sono grato, tanto più che è una vita che mi leggi. Hai cominciato a leggermi sui blog che era il 2003 e dopo tanti anni non ti sei ancora stancata di leggermi. Come ben sai uno dei primi libri che ho letto in vita mia è stato “I misteri del castello” di Sir Walter Scott, a cui hanno fatto seguito diverse migliaia di letture. Ma ce n’è una in particolare che mi ha profondamente colpito, non solo per i temi trattati ma anche per lo stile, particolare, da pittore: “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman. Di certo saprai che Uhlman fu anche un pittore. Bene, la prima cosa che notai nella sua scrittura era la capacità di render icastici i suoi personaggi con poche parole, o pennellate. Nell’arco degli anni ho cercato spesso di ritrovare l’icasticità nei libri da me letti, e nel mio piccolo ho cercato di conferirla ai miei personaggi, indipendentemente dal tema e dal genere trattato. Quando riesco a fotografare, a disegnare i personaggi, e i lettori se ne accorgono, è per me un grande risultato. Mi auguro a questo punto che anche per altri lettori l’impressione ricevuta dalla lettura sia quella da te qui espressa.
Un forte abbraccio ringraziandoti di cuore per avermi letto e apprezzato.
beppe
Il libro è da leggere…Frazionato o a piccole dosi, forse perchè non accetti che sia così cruento e lacerante.
Già da tempo leggo Iannozzi, quando scrive puoi aspettarti di tutto e pensi chissà… cosa scriverà domani,ci sono sempre molte metafore nei suoi racconti legate alla natura degli uomini il chiaroscuro emotivo che accompagna ogni suo episodio é narrato con umiltà allo stesso tempo rabbia e violenza .
I personaggi da Lui descritti denunciano il disagio di vivere, sono persone che hanno subito violenze e privazioni dietro enormi parentesi di falsità e cattiverie che ti portano a fare riflessioni nelle trasparenze dell’anima, Tra quei quei cortili di polvere e di degrado, le sue storie si ripetono, fra il vociare di cuori che si inaridiscono al mal vivere arrendendosi; tutto sembra definirsi nella mancanza d’amore e di affetto perchè mancano abbracci sinceri, permangono invece sorrisi celati dietro falsità, fra ombre scure che spogliano l’essenza della solitudine vestita di tante incertezze dimostrando che è vero che la sorte si accanisce contro i più sfortunati ed i più deboli ,mi domando… ma… ma domani caro King sarà ancora vivo in te quella tua voglia di scrivere e di trasmettere il desiderio di sperare che nella vita accada qualcosa di meglio?
Boh speriamo
♥ vany
Cara Vany, è certamente vero quel che dici: la mia attenzione è maggiormente portata a parlare degli esclusi, di coloro che hanno subito delle violenze psichiche oltreché fisiche. Non so se sia veramente possibile denunciare qualcosa attraverso la narrativa, ma se non altro evidenzio delle situazioni di disagio che esistono e che fanno soffrire. Se è vero che la Storia umana si ripete in maniera ciclica, è allora anche vero che la sofferenza e le ingiustizie si ripetono nell’immediato, seppur con sfumature diverse, nel tempo presente. E purtroppo temo che una Utopia à la Tommaso Moro sia possibile solamente sulla carta, ma non come modello applicabile alla realtà. Nonostante io parli di personaggi che dalla vita sono stati sconfitti, non sono però un pessimista tout court: direi invece che sono uno scrittore che abbraccia l’esistenzialismo e in certi casi il verismo.
Se avrò la fortuna di vedere un mondo migliore rispetto a quello che oggi viviamo e subiamo passivamente, sarò di certo bene felice di portarlo nero su bianco. Per il momento le ingiustizie sono ancora troppe: solo un terzo della popolazione mondiale si può dire che viva in condizioni decenti.
Un forte abbraccio ringraziandoti di cuore,
beppe
Apprezzo la scrittura fluida e per alcuni tratti mordente di Beppe Iannozzi, di lui apprezzo anche la raffinatezza poetica che ritrovo in questo estratto; quindi un lessico ricercato e crudo, tutto in perfetto equilibrio.
La storia riguarda i disadattati di questa società, disagio che nasce sicuramente da uno squilibrio affettivo che va cercato nell’infanzia.
Storia interessante che mi ha fatto piacere leggere in questo spazio.
un saluto
annamaria
Cara Annamaria, hai colto nel segno: perlopiù scrivo affrontando i disagi sociali di questo nostro tempo storico, ragion per cui ritengo giusto e necessario utilizzare un linguaggio schietto e non edulcorato: non risulterei difatti credibile diversamente. Tra i tanti autori che mi hanno influenzato, certamente Cesare Pavese e Beppe Fenoglio in primis, ma anche Leonard Cohen con i suoi due romanzi, Il gioco preferito e Beautiful Losers.
In particolare “La morte con i tuoi occhi” narra la storia di un giovane che non riesce ad avere dei veri rapporti con le donne, ma cosa ben più grave non riesce a stabilire un vero contatto con la società: per lui tutta la società è solo da disprezzare, da bruciare, da divorare. E’ Max un prodotto di questa nostra società purtroppo fondata su dei valori inconsistenti e frivoli, ma è anche una vittima e un carnefice: Nella sua disperazione, Max ha quasi cercato l’incesto con la sorella. Ma non aggiungo altro. Chi lo vorrà potrà leggere la storia per intero.
Grazie Annamaria e un forte abbraccio,
beppe
Ciao Nicla, Giuseppe, e tutti voi.:-)
Lo stile di Giusppe, alias King Lear, è inconfondibile, decisamente attuale e fervente.
Apprezzo davvero molto la sua scrittura, come la sua poesia, feroce, immediata, umana.
Sono davvero felice di poter leggere qui, in questo interessante spazio, di lui e affondare, per una volta ancora, occhi anima e cuore in una delle sue letture.:-)
Angelica
Ciao cara Angelica,
grazie infinite. Spero di sì, che il mio stile sia anche un marchio di fabbrica, per così dire. Per me scrivere significa non scadere nella serialità sia per quanto concerne i contenuti sia per lo stile. Come ben sai non mi sono mai detto ‘poeta’ né mai lo farò perché un ‘poeta’ è una anima baciata da dio, e io non ho un grande talento poetico. Però, senza falsa modestia, credo che la stessa forza che ravvisi nelle mie poesie sia presente nella mio narrare.
Un forte abbraccio ringraziandoti
beppe
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Grazie infinite a Nicla Morletti per il bellissimo commento e a Tutt* e ai lettori di questo ottimo blog-vetrina.
beppe
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