Capitolo I –
Di normalità si cominciò a parlare poco dopo che si fu insediato il nuovo governo. Pareva che quel termine si attagliasse perfettamente alla caratura politica e anche morale del nuovo premier. Il suo discorso alla Camera in occasione del voto di fiducia fu tutto improntato, per la verità, più sul termine “normalizzazione” che su “normalità” tout court. Fu però quest’ultima parola a ottenere piena cittadinanza nei discorsi della gente, forse perché “normalizzazione” sembrava una parola troppo tecnica, troppo impegnativa. Normalizzare sottintendeva un’azione diretta contro certe pratiche del passato, certi comportamenti, quelli che avevano portato il Paese sull’orlo del baratro. La gente invece voleva il ritorno della normalità, nell’ accezione di una vita da condurre senza soprassalti di moralismo, senza troppi interventi che stravolgessero l’esistenza delle persone. Chiedevano in fondo quello che in ogni Paese e in ogni epoca era sempre stata l’aspirazione suprema della stragrande maggioranza: vivere senza troppi pensieri, conducendo le proprie attività in modo tranquillo, godendo dei piccoli o grandi piaceri che ci si poteva concedere lasciando che altri si occupassero, ma senza dare troppo fastidio, dei problemi generali. Normalità significava anche criticare il governo, esprimere opinioni contrarie, ma con la convinzione che si trattasse di un “normale” esercizio dialettico di chi, comunque, non poteva esimersi dal seguire regole dettate dall’alto.
Dopo pochi mesi la parola “normalità” estese la gamma dei propri significati. Si passò dall’aspirazione largamente condivisa a vivere con tranquillità a quella di un’esistenza nella quale fossero banditi i pensieri dissonanti, di qualsiasi genere. Non si sa come successe, ma a un certo punto essere “normale” cominciò ad assumere delle connotazioni diverse rispetto a quelle del passato. lo credo che a ciò avessero contribuito molto gli interventi del governo contro certe frange della popolazione che, contrariamente alla maggioranza, non aspiravano alla “normalità” nel significato che era largamente inteso.
Erano i soliti “protestatari”: studenti, anarchici, frange estreme del sindacato, ecc. L’azione del governo nei loro confronti fu decisa e risolutoria, nel senso che, attraverso una specifica legislazione, gli strumenti repressivi e anche giudizi ari divennero molto più efficaci. A quel punto, mentre la situazione economica si “normalizzava”, confortando tutti quelli che aspiravano a condurre tranquillamente le proprie attività, si diffuse l’idea che la “normalità” fosse un concetto, appunto, più ampio e più cogente: “Normale” era chi non aveva grilli per la testa, non si opponeva al sistema, pensava correttamente secondo schemi accettati da tutti. Ogni eccesso era condannato, senza troppo clamore; ogni comportamento appena sopra le righe era considerato non accettato e, se non immediatamente represso, subito rintuzzato da chi aveva compiti educati vi: genitori, insegnanti, preti.
Tuttavia continuavano a esserci persone che non accettavano quell’idea di normalità, senza magari, per questo, dover essere subito annoverati tra i dissidenti. Era un modo di essere incompatibile con ogni costrizione della libertà di pensiero, a vedere la realtà con i paraocchi del “senso comune”. Persone infelici, alla fine, perché la realtà circostante, una volta che il governo riuscì a piegare la dissidenza “ufficiale”, mutava insensibilmente ma in modo costante. In apparenza, la società che si era rimodellata secondo i nuovi dettami, sembrava addirittura più libera e priva di vincoli, rispetto a quella precedente: un paradosso che la maggioranza non coglieva, mentre si cullava nella nicchia della propria normalità. Quelle persone, invece, soffrivano per la propria diversità perché sapevano vedere più lontano e sentivano con molto maggiore profondità le contraddizioni nascoste del Nuovo Sistema. Già, perché intanto si era diffusa la definizione del nuovo corso dato dal governo: il Nuovo Sistema.
Quella definizione fu espressa dal premier in uno dei suoi discorsi alla Camera un anno dopo il suo insediamento.
Quelle tre parole, il Nuovo Sistema, divennero una bandiera, la parola d’ordine che si usava senza parsimonia quando si voleva parlare di riforme efficaci, di un’economia risanata, di una spesa pubblica finalmente ritornata al bilancio in pareggio. Di una nuova ideologia,
che magnificava le sorti di un Paese di nuovo orgoglioso di sé e lanciato verso traguardi fino a poco prima impensabili. Il Nuovo Sistema, come un faro nella notte, diffondeva una luce che rivelava ogni particolare di una realtà in fieri, ma foriera di successi. Che cosa si chiedeva, in fondo, alla popolazione? Di essere operosa ed efficiente e di stringersi intorno alla nuova classe dirigente in uno sforzo di modernizzazione del Paese che non tollerava dissensi. Occorre chiarire un altro punto: il Nuovo Sistema richiese che la vecchia classe dirigente fosse spazzata via.
Anche questo fu accettato senza troppe proteste, soprattutto perché fu dato largo spazio ai giovani, a tutti i livelli, e nel giro di pochi anni si trovò il modo di liberarsi di tutti quelli che si riteneva non potessero integrarsi con le nuove direttive. Fu una mossa astuta e vincente: i giovani, che fino a pochi anni prima non riuscivano a trovare un lavoro e, ai livelli più elevati, a farsi strada, a causa della gerontocrazia al potere, che impediva loro ogni possibilità, ora trovavano spazi e opportunità quasi senza limiti. La conseguenza fu che i principali propugnatori della normalità furono proprio i giovani, mentre prima erano loro i principali oppositori. Quanto agli anziani, dovettero adattarsi alle nuove circostanze. Si trovò anche a loro una sistemazione: furono accompagnati alla pensione con misure compensative.
Quelli che, tra i giovani, non riuscirono ad adattarsi al nuovo corso, tentarono, all’inizio, di organizzarsi e di opporsi, ma senza successo, tanto che, dopo gli interventi della polizia e dei tribunali, il governo poté dichiarare che la dissidenza era stata sostanzialmente debellata. Chi non aveva cercato collegamenti, non aveva intrapreso vere e proprie azioni rivoluzionarie, non era ufficialmente entrato nella dissidenza, ma che viveva dolorosamente la propria estraneità, era completamente isolato nella massa (altro paradosso!), spesso coltivando distruttivi sensi di colpa. Il fatto è che, se anche avesse voluto “normalizzarsi”, non lo avrebbe potuto fare se non esteriormente. Pochi e isolati, costituivano tuttavia un pericolo. Il governo lo sapeva bene e cercava di riconoscerli e di neutralizzarli.
Il nuovo sistema di Guido de Eccher – Runa Editrice, 2012 – pag. 340
Il commento di NICLA MORLETTI
Siamo nel giugno 2031, in un futuro più o meno lontano. Lara Kolkey, l’io narrante, si accinge a raccontare in prima persona questa storia per sorta di un incarico di un suo amico, Albert Ruggi, che gli ha affidato prima di morire, inviandole un messaggio attraverso l’etere. Incipit per un libro quanto mai allettante.
“Il nuovo sistema” è un romanzo ottimamente costruito e ben scritto, che offre sicuramente un insegnamento e divulga un forte messaggio attraverso la sua metafora dall’impatto acuto e intelligente.
Il Paese in cui si è affermato “il nuovo sistema” forse non esiste, o forse non ancora, scrive l’autore. Una lettura affascinante, scorrevole, coinvolgente. Un libro nato da un’idea geniale di Guido De Eccher che, calandosi abilmente in personaggi e situazioni, si destreggia con maestria in una storia nella storia, fatta di un probabile futuro pur attingendo e traendo radici dal presente. Quanto c’è di fantascienza e quanto di realtà? Questo si domanderà il lettore che tra le righe scoprirà molte verità. Un ottimo romanzo dal tessuto narrativo ben costruito. Vale veramente la pena di leggerlo.
L’inizio mi sembra molto simile a 1984 di Orwell e per certi versi a Macno di Andrea De Carlo.
Devo anche dire che suggerisce inquietanti analogie con la realtà attuale italiana.
Buongiorno Guido
ho ricevuto copia del suo libro, ho cominciato a leggerlo e, devo dirle, mi ha molto colpito la sua fantasia (o pseudo realtà in cui ci troviamo) nel raccontare una storia a mio modo di vedere, bellissima in quanto mi ha preso in pieno.
Sono a metà del libro e devo dirle che mi sono molto appassionato al suo modo di scrivere. Non appena avrò terminato commenterò il mio giudizio (sicuramente positivo) per renderle merito.
Grazie e cordialità.
Sabato Petrone
I fu dissidenti russi ne sono convinti,
a questo assioma son avvinti :
l’ Europa e’ la nuova dittatura,
dell’ Urss erede sicura.
Se poi ci mettiamo la massoneria,
tutto si compone, come in geometria.
Ai maturi – non parliamo di vecchiaia –
e’ destinata la mannaia;
con la loro forte memoria
posson intralciare la storia
che i nuovi dittatori devon costruire
per i pochi che potran gioire.
I giovani ? Una massa di affamati,
che van inquadrati.
Basta dar loro un’ occupazione
perche’ cambin dimensione.
Pochi rifletton, ma in verita’
si sta sgualcendo la liberta’.
Grazie a Guido per il saggio,
che con un po’ di coraggio
costringe a un ripensamento :
vado dove spira il vento ?
Attenti, conformismo
va rima con totalitarismo .
E con ” Il nuovo sistema ”
e’ autorizzato ogni anatema.
Gaetano
libro non del futuro ma già del presente per riflettere e far pensare chi è più in alto di noi…lo leggerei volentieri
Mi piacciono molto i libri di questo genere, spero mi sia consentito leggere qualcosa in più e complimenti, mi ha appassionato per quel poco che ho letto.
Mi piacciono i libri che descrivono un futuro non troppo lontano. Sono curiosa di sapere quali brillanti idee l’autore ci propone. La copertina del libro è molto accattivante e invoglia ad aprirlo… e il primo capitolo invoglia a proseguire la lettura…