Gocce nell’oceano di Adalgisa Licastro

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Gocce nell’oceano di Adalgisa Licastro

Dal racconto: Orso

Il cappuccio imbiancato del Gennargentu si scioglieva già in una miriade di rigagnoli fangosi e, a mano a mano che i dirupi conducevano le acque a valle, cascate di erbe e chiome cenerine di ulivi selvatici pendevano dalle groppe dei burroni.
Sul piano, il fiume Coghinans scorreva silenzioso: solo piccole increspature tradivano il suo lieve andare fiancheggiato da oleandri fioriti. Più avanti, sul pianoro che si apriva vasto e verdeggiante, cespugli di cardi e di spine, piante d’alloro dalle lucide foglie, mirti, corbezzoli e ginepri intervallati dal rosa intenso delle peonie, dal giallo verde dei fiori di ferule.
Orso conosceva bene quel percorso e i mutamenti legati al passaggio delle stagioni.
Quella primavera che tornava dopo un inverno particolarmente rigido, arricchiva di speranze nuove il suo cuore e la sua mente, avvicinandolo a quel cielo il cui sguardo sentiva fisso e attento sugli uomini.
Catalina, intenta a stendere i panni fuori dal recinto dell’orto dove il sole picchiava più forte e il vento si muoveva in grande libertà, lo aveva visto passare accanto e, per un attimo, aveva sperato in un suo sorriso. Lui, però, era così pensoso e immusonito da non accorgersi di lei.
Era trascorso molto tempo, ma Catalina non avrebbe mai dimenticato lo stupore di quella mattina di novembre.
quando, uscita in giardino, lo aveva notato mentre sbucava dalla stretta apertura del nuraghe più vicino alla sua casa.
Aveva avuto poco tempo per focalizzarne l’immagine perché la nebbia, salita all’improvviso dalla valle, aveva ingoiato tutto ciò che stava intorno.
Turbata e affannata, era rientrata.
– Ehi… Nastasi, poco fa ho visto un uomo venire fuori dal nuraghe dell’altura piccola! – aveva detto al marito e questi, sempre pronto a far dell’ironia, le aveva risposto: – sei sicura che non sia stato un fantasma? La nebbia, sai, può fare brutti scherzi! –
– No, no, non sono una visionaria, io! – aveva ribattuto Catalina, risentita.
– L’uomo l’ho visto davvero! È grande, robusto, barbuto e non so dirti di più! –
– Ma sì, ti credo! – aveva brontolato Nastasi in maniera spiccia. Lui aveva ben altro a cui pensare!
Il montone chiuso nel recinto, batteva le coma contro la staccionata, e la sua impazienza indicava che era ora di portare le pecore al pascolo. Nastasi baciò Catalina come faceva tutte le mattine e, dandole un buffetto, le disse: – niente paura! Ricordati che i fantasmi si avvicinano solo alle persone che li chiamano. – La moglie non sorrise e pensò tra sé: – non mi ha creduto, ma lo farà, vedremo se lo farà! –
Presto, molto presto, infatti, nel villaggio non si fece altro che raccontare di quella presenza.
Dopo Catalina, a parlarne fu Benaita, la moglie dell’ortolano: – Austu, c’è un tizio strano che s’aggira nei paraggi! L’hai visto? –  e, mentre aspettava la risposta del marito, ripuliva dalle foglie vizze i cavoli, i ravanelli e le cicorie che stavano in bella mostra sulla loro bancarella del mercato.
– L’ho visto e l’ho guardato! – rispondeva lui e non finiva di dire che quello, lo sconosciuto, aveva proprio la faccia di un orso col muso appuntito e gli occhi socchiusi per non guardare e non farsi guardare. Così, la descrizione dell’uomo venuto dal nulla, passando da un bancarellaro all’altro, fece sì che gli si affibbiasse il soprannome di Orso.
Tra i tanti nuraghi esistenti negli anfratti rocciosi delle montagne, il solitario aveva scelto il più vicino alle case contadine sparse un po’ qua un po’ là.
Quel cimelio di rifugio fortificato, costruito con grossi macigni di granito, era abbastanza spazioso all’interno, ma non così tanto quanto appariva dal tronco a cono esterno, terminante in due piccole torri. La sua posizione, strategica rispetto a quella di altri nuraghi, gli consentiva di raggiungere in pochi balzi la zona abitata e, così, era facile incontrarlo. A parte la barba incolta e brizzolata, i capelli sugli omeri, Orso non aveva un’aria trasandata: un cappotto di montone con un ampio cappuccio era il suo abbigliamento invernale che sostituiva con tute, jeans e camicie a quadroni nelle stagioni più clementi. L’uomo non lavorava, né mendicava e doveva possedere un po’ di denaro se, a giorni alterni, andava al mercatino ad acquistare: pane, cacio e latte sufficienti al suo nutrimento. Un giorno, Innai, primogenito di Catalina e Nastasi, nonché fratello della piccolissima Marianzela, s’acquattò al muro adiacente all’apertura del nuraghe e, spiando all’interno, vi sbirciò alcune cose: un letto, un tavolo di pietra, uno sgabello ed alcuni indumenti appesi alla parete. Posati sul terreno, in ordine quasi perfetto, tanti libri piccoli, grandi ed anche un po’ ingialliti. Sul muro, in un anello di cuoio, una torcia di resina accesa diffondeva abbastanza luce da illuminare anche i contorni dell’abitacolo.
Orso aveva inforcato un paio di occhiali che Innai non gli aveva mai visto, e leggeva un librone dalla copertina rossa e i bordi dorati.
– Cosa leggerà? – chiedeva il ragazzetto sempre più interessato e incuriosito.
Dal canto suo, anche Orso, sbirciava nella vita dei suoi vicini: ascoltava i loro richiami, i loro rimbrotti, le loro allegre risate e s’illudeva di stare in mezzo a loro.
Durante la bella stagione, quando la vita si svolge all’aperto, gli giungevano le note cantilenanti dell’islauneddas, quello strano strumento simile ad una zampogna. Di solito a suonarlo era Nastasi, ma quando Catalina univa la sua voce a quel malinconico suono, il tutto diventava dolce e struggente.
Anche Orso era sardo e, come la sua terra, era greve, taciturno, ritroso e fiero, ma nel suo sguardo, talora riaffiorava un timido sorriso. Nei suoi prolungati silenzi, c’erano i monti solitari e i paesaggi ombrosi, nel limpido e improvviso sorriso, l’accecante smeraldo del mare. Nessuno conosceva i suoi sogni o forse anche lui da tempo aveva smesso di sognare.
In quegli anni trascorsi tra le mura rocciose del suo nuraghi e i limitati spazi di un umile villaggio, Orso aveva vissuto tacitamente le sue emozioni, le sue inquietudini, la sua profonda religiosità e aveva tanto sofferto per avere scelto di seppellire il suo dolore.

Il commento di Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari

Gocce nell’oceano di Adalgisa Licastro

Gocce nell’oceano
di Adalgisa Licastro
2015, 165 p.
Carta e Penna Editore

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