I suoi occhi erano come ipnotizzati da un’immagine riflessa sull’acqua, deformata ogni tanto dal beccheggio delle barche ormeggiate. La sua immagine. Forme sgraziate e troppo piene nascoste da una maglia informe. Quanto odiava quelle forme, odiava i bambini che da ragazzina la prendevano in giro “cicciona! cicciona!”, gridavano, spingendola e tirandola, facendole perdere l’equilibrio e cadere goffamente a terra. Si rialzava sempre con il viso abbassato a terra a nascondere gli occhi lucidi, le guance rosse, le labbra serrate, i pugni chiusi. Quanto avrebbe voluto essere come loro: normale. Normale. Avrebbe voluto essere una bimba senza paure, amata così, semplicemente, come tutti i bambini lo erano. Avrebbe voluto poter avere il coraggio di ridere a crepapelle, di correre a perdifiato, di giocare chiassosamente. No, lei no. Lei non rideva, non correva, non giocava, non poteva, qualcosa la tratteneva, la bloccava, la terrorizzava. E quel grasso attorno alla sua anima era sempre stato la sua protezione, il suo rifugio, la sua corazza. Ora però quella corazza cominciava a starle stretta, a soffocarla. Ritornò a guardare la madre con la figlioletta. Perché lei no? Perché lei no? Perché lei no?
Ad un tratto una voce profonda, conosciuta alle sue spalle….