Mi sentivo ancora incerta sulle gambe, ma spiccai ugualmente il volo.
La paura di non essere pronta non riuscì comunque a fermarmi prima del salto.
Esitai solo un attimo a lisciarmi quelle strane vesti rimanendone io stessa abbagliata. Al sole, i colori erano talmente brillanti da non potere passare inosservati ad occhio umano. Il giallo, ad esempio, anche se era un colore piuttosto comune fra quelle della mia specie, assumeva dei riflessi chiari che ricordavano un campo di grano spettinato dal vento. E così il verde che riluceva come steli a primavera. E anche tutti gli altri colori riportavano ognuno a qualche sensazione speciale.
Il mio fascino delicato e discreto, che ai più poteva passare inosservato, faceva si che fossi ugualmente seguita da una corte onnipresente, protettiva e talvolta imbarazzante.
Infatti, al mio primo volo, assistettero in molti: occhi curiosi, lì solo per guardare e in attesa di vedermi sbagliare; anime pronte invece ad allungare la mano per risollevarmi se fossi caduta o abbracciarmi in caso di vittoria; rari cuori dilaniati dalla sofferenza della stremante attesa di vedere dove il vento mi avrebbe portato.
Guardai giù. Non era alto. Ma forse dico così perché non riuscivo a vedere bene il fondo.
Le ali si aprirono e tutto parve inizialmente andare per il meglio. Ma non fu così. Forse non avevo preso bene le misure, fatto sta che iniziai una caduta libera difficile da gestire. Nel tentativo di urlare, emisi suoni strani che assomigliavano a pianti e vagiti. Sembravano voci non mie, voci che venivano dal profondo, dal passato, da vite che apparentemente non c’erano più ma ancora ben presenti nel mio cuore. Cercai appigli ma non trovai altro che il vuoto attorno e dentro me. Alla fine, neanche dopo tanto tempo, smisi di lottare. E toccai il fondo.
Sorpresa, non sentii male.
Rimbalzai su d’una morbida coltre che aveva l’aspetto della panna montata e vi ci sprofondai. Smisi di respirare l’aria degli esseri umani e mi nutrii per molto tempo solo di bacche dall’essenza divina. Scoprii l’amore nella sua forma più pulita che superava le barriere della vita terrena e godetti di un orgasmo costante e totale. Imparai l’arte dell’attesa, della comprensione, della giustizia.
Non mi ero mai sentita così forte in vita mia e sentii che era il momento di tornare. Avevo lavorato tanto su di me, modellata e plasmata secondo le leggi della natura.
Ora sapevo che niente e nessuno avrebbe potuto più farmi del male.
Al contrario, ogni cuore che da quel giorno si fosse imbattuto nel mio, mi avrebbe per sempre portato con sé.
Ciao,
ti chiedo se nella metafora dello spiccare il volo c’ è tutto il desiderio di voler vivere pienamente la vita.
Mi ricordi tanto il mio modo di fare forse anche un vissuto simile.
Ti ringrazio perchè grazie al tuo testo che devo leggere e rileggere per entrarvici dentro, ho modo di scavare tra il filo spinato dei miei ricordi.
Grazie
Mari
Mi piace molto il tuo modo di scrivere e molto belle e ricche di significato sono le tue prose. Sei stata per me una bellissima scoperta, Lenio.
Grazie Antonietta 🙂
Scritto complesso, affascinanti metafore, grande proprietà di linguaggio. Complimenti.
Antonietta
Aurora ti ringrazio tanto. Sapere che qualcuno possa ritrovarsi in quello che scrivo, è una gioia immensa. Un abbraccio
Ciao Adorabilecanaglia, è la prima volta che vengo qui, così cercando mi sono soffermata su questo tuo post. Ci fermiamo sempre a guardare le cose che sentiamo vicine, quelle in cui possiamo identificarci. Comprendo perfettamente ciò che scrivi. Quando toccai il fondo mi dissi che avevo scoperto l’abbraccio del cielo e quello non avrebbe potuto togliermelo più nessuno.
Sai cosa mi è piaciuto molto del tuo post? A parte la carica e la dolcezza? Le immagini. Mi piace molto quella del grano spettinato dal vento. E’ originale. Se chiudo gli occhi lo vedo qui ora quel grano.
Complimenti e in bocca al lupo per i tuoi voli!
Mari