Non capisco cosa sia successo, mi vengono a mente i film di fantascienza. Ho paura.
Mistal”, ma lui non risponde. Richiamo a me tutta la forza di cui posso essere capace e presolo per le spalle lo trascino verso la grotta, unico rifugio. Pesa molto questo uomo-alieno di cui mi sono innamorata. Con uno sforzo immane riesco ad arrivare all’interno di Almor.
“Per l’amor di Dio, Mistral, rispondimi..”
Solo ora noto che la camicia è sporca di sangue, più o meno sotto la clavicola.
Hanno sangue come il nostro? E come si curano? Come noi? Sono in preda alla disperazione e non so cosa sia meglio fare, ma qualunque sia la mia decisione, devo farlo in fretta.
Rapidamente valuto: qui non conosco nessuno. Non so nemmeno se mi capirebbero. Non so dove andare. Non so chi sono i nemici e gli amici. Decisione presa. Con uno sforzo sovrumano riesco a mettere Mistral nella cassapanca. Lo abbraccio forte e chiamo Lupin. Poi, comincio a fissare l’immagine nella cassapanca. Pazientemente attendo che i miei atomi si scompongano e prego di ritrovarmi a casa. Nella mia casa. O in quella di Mistral.
Dopo un tempo relativamente breve e uno scombussolamento non indifferente mi ritrovo a casa stesa sul pavimento. Fra le braccia ho ancora Mistral.
Prendo alcune coperte e un cuscino. Poi gli sfilo la camicia. Un forellino da cui sgorga sangue macchia la sua pelle. I bordi sono bruciacchiati. Corro a prendere qualcosa per medicarlo. A dire il vero ci vorrebbero tre punti di sutura. Quand’ecco, mi ricordo solo ora delle foglie che mi aveva dato Mistral. Potevo evitare la scomposizione degli atomi se me ne fossi ricordata prima. Tutto sommato, qui sono a casa mia, e mi sento meglio. Oh, si! molto meglio.
Come si useranno queste foglie? Fossi un indiano nativo d’America, le masticherei. Ma preferisco vedere se funzionano anche così. Ne prendo una e la poso sulla ferita di Mistral. E’ ancora in uno stato incosciente. Prendo un’altra foglia e gliela stendo sulla fronte. Controllo la ferita. Ancora come prima. Così mastico e applico la poltiglia che ne risulta. Sono un po’ amarognole, comunque non disgustose, anche se dure. Mi chiedo se gli devo fare una specie di infuso e cercare di farglielo bere. E’ che non conoscendone l’uso non vorrei aggravare la situazione. Attendo pazientemente. La ferita ora non sanguina più e mi sembra anche si sia ridotta.
Mi pare di vere un leggero movimento delle palpebre.
Poco dopo Mistral riapre gli occhi.
E’ stordito. Non mi riconosce. Non sa dove si trova. Non ricorda cosa è successo. Non ricorda chi è. E’ tremendo. Vorrei dormisse e si risvegliasse ricordando tutto; forse si tratta di un amnesia momentanea. Cerco di spiegargli. Mi guarda inebetito. Cosa gli hanno fatto? Cos’era quel raggio verde? Lo tranquillizzo, a fatica. Vorrei che qualcuno tranquillizzasse me. Lupin gli si avvicina. Gli lecca una mano. Mistral è pallido e debolissimo. Poco dopo s’addormenta. Prendo un paio di foglie e vado a fare una tè.
Più tardi Mistral si sveglia, gli porgo un po’ di infuso che sorseggia lentamente.
Un raggio di sole entra obliquo dalla finestra. Tengo una pezzuola fredda sulla sua fronte.
Nella stanza regna il silenzio. Preferisco che sia lui a dire qualcosa per primo, non lo voglio forzare, così mi limito a fargli da infermiera per quel che posso.
Passano due giorni interminabili, senza che nulla cambi.
L’alba del terzo giorno Mistral mi chiama. Sono colma di felicità: finalmente qualche ricordo riaffiora dalla sua mente annebbiata.
Si sente complessivamente meglio e mi chiede di raccontargli bene quel che è accaduto, poiché lui ricorda solo qualche flash. Mentre spiego, cerco di non tralasciare particolari che forse gli possono essere utili.
”Mistral, cos’era quel raggio verde che ti ha colpito?”
“E’ il raggio di un’arma usata dalle mie parti. Il punto è: chi è stato a colpirmi?”
“Hai nemici?”
“Non molti, ma…si, qualcuno c’è. D’altra parte nella mia posizione è più facile avere nemici piuttosto che amici.”
“E ora che farai?”
“Piccola, vieni qui”. Mi abbraccia “Per ora sto qui con te e mi rimetto in forze. Poi vedremo”.
Poi vedremo. Si. Intanto ora è qui. E sono follemente felice.
Il giorno dopo partiamo per la Camargue. Desidero che veda quella zona selvaggia.
La natura in tutta la sua bellezza; pascolano cavalli allo stato brado; qualche carovana di zingari.
Passeggiamo fra i campi. Mistral mi cinge la vita e io cingo la sua, con il pollice aggrappato al passante dei suoi jeans.
Ho tolto i sandali e cammino a piedi nudi. Adoro sentire l’erba sotto ai piedi; la sensazione di appartenere veramente alla terra. Il profumo muschiato di questa natura selvaggia ci avvolge. Mentre camminiamo le nostre anche si nuovo all’unisono e sembrano incollate. Ci sediamo ammirando rapiti due cavalli al galoppo, le criniere al vento, i muscoli ben visibili nello sforzo.
Mistral si volta, i suoi occhi mi scrutano. I miei occhi persi nei suoi. Piano si chiana e posa un bacio nell’incavo del mio collo. Un altro. Sfiora le mie labbra.
“Oh, Mistral”, sussurro “non fare così. Lo sai dopo come va a finire”.
Sorride divertito. “Si, lo so come va a finire”, e mi spinge a terra. Il cielo sopra noi. Il profumo della terra. Le sue abili mani sfilano i bottoni dalle asole della camiciola. I suoi baci si fanno ardenti. La mia pelle brucia. La passione si consuma sotto a questo cielo azzurro, sulla nuda terra. Come animali selvaggi i nostri respiri si fanno gemiti mentre le mani cercano con urgenza carne da sacrificare all’amore.
Abbiamo vissuto giorni pieni bevendo dalla coppa dell’amore.
Bevendo dalla coppa dell’amore.
Registra questo racconto cara Ars.
Hai intrecciato una storia molto coinvolgente, lo sai vero?!
Un racconto da leggere d’un fiato…
un bacio