Il romanzo che non c’è di Elisa Barone

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CAPITOLO I –

Il dito indice pigiava il tasto numero cinque come mille e più volte fino a trentanni prima.
L’ascensore era lento e rumoroso come allora e, attraverso le grate del cancello e la fessura delle porticine, s’intravedeva il nome sulle porte centrali di ogni pianerottolo.
La donna non conosceva quei nomi e ne ricordava altri, spariti anche quelli insieme a ogni altra cosa divorata dal tempo.
Al quinto piano il solito sobbalzo e, poi, uscita dall’ascensore, fu investita dalla luce assolata che proveniva dalla grande finestra sulle scale.
Avrebbe voluto suonare il campanello, avrebbe voluto che la porta si aprisse, avrebbe voluto essere attesa e abbracciata e, intanto, girava la chiave nella toppa, uno, due, tre, quattro volte: varcò l’ingresso, accese la luce e sentì le braccia della solitudine avvolgerla in maniera stretta e malinconica, sentì uno struggimento che le fece capire che il dolore va sempre sepolto lontano da se stessi e che gli occhi devono essere chiusi e stretti per non vedere ciò che fa male.
Alla sua sinistra c’era la grande consolle ottocentesca; lo specchio dorato le rimandò il suo viso così diverso da allora.
Gli anni avevano trasformato la sua bellezza.
Non c’erano più i capelli lisci e neri, non c’era il volto tornito ma sfilato, non c’era più lo sguardo sognante, ma gli occhi e il sorriso di una matura signora bionda e ben tenuta ricordavano vagamente la ragazza che aveva vissuto in quella casa.
La donna mosse i passi verso la porta chiusa del salotto: la porta era sempre stata chiusa; dalle persiane abbassate filtrava un po’ di luce.
Si avvicinò al balcone, aprì la tapparella lasciandola a metà e ricordando le parole di sua madre: “Non fare entrare il sole!”. Già, “non fare entrare il sole!”. Non le aveva mai chiesto perché; forse aveva sempre sentito dire che il sole rovina le tappezzerie o aveva sempre capito che il sole non è amato da chi non sa cosa voglia dire averlo dentro, apprezzandone la luce e il calore. I grandi divani di velluto rosso erano intatti, l’argenteria nella solita posizione e le dame di porcellana di Capodimonte riuscivano ancora a sorridere collocate sul nero pianoforte muto come il resto della casa.
Mentre si avviava nel buio del corridoio verso le altre stanze, avvertì un senso di inquietudine e accese la luce nel soggiorno, quasi impaurita.
Le poltrone vuote di fronte al televisore, le procurarono una desolata emozione; decise di rifiutare la proposta di suo fratello di rimanere per quei giorni a dormire nella casa dei genitori.
Sarebbe andata nell’albergo in fondo al lungomare, lì dove si spingeva con la bicicletta quando era bambina.
Riprese il borsone adagiato nell’anticamera sul pavimento, cercò nella borsa il biglietto che le aveva lasciato il tassista, compose il numero e richiuse la porta, lasciando la casa alle sue spalle, per sempre.
L’albergo era più piccolo di come lo ricordava, la spiaggetta del lungomare era sempre la stessa e anche il colore del mare in quella zona aveva le solite sfumature azzurro chiaro. Lasciò il bagaglio e si incamminò sul lungomare; poco dopo, nella zona più centrale, la gente si trasformò in folla.
Attraverso la folla, lei vide in lontananza avanzare verso sé, una signora bruna, pallida, che aveva per mano una bambina di 6 -7 anni.
La signora era bella, aveva le labbra dipinte di rosso, indossava un lungo cappotto grigio, un cappello nero le copriva il capo, sulle spalle aveva come stola due pelli di volpe argentata con occhi di vetro azzurro.
La bambina indossava un cappottino rosso, sbottonato, che faceva intravedere una gonnellina scozzese con su un golfino bianco. La bimba aveva, appoggiato al braccio destro, sostenendolo con la mano, un bambolotto con un vestitino bianco… bianco? Bianco? No, non era bianco, era azzurro il vestitino del bambolotto.
Le due la oltrepassarono senza guardarla: lei le seguì con lo sguardo mentre bussavano al portone n. 34.
Di lì a poco, una ragazza con un vestitino nero e un grembiulino bianco, apriva il portone.

Capitolo II –

Entrate in casa, la giovane cameriera raccolse i soprabiti e, dopo averli spazzolati, li ripose con cura nel grande armadio nel locale guardaroba, deponendo in una cassapanca le due pelli di volpe argentata, sovrapponendole ad altre due pelli di volpe bionda.
Madre e figlia salirono verso le camere: la madre come al solito richiuse la porta lasciando fuori la bambina che, prima di andare nella sua cameretta, rimase a guardare quell’uscio che avrebbe per sempre ricordato, come “la porta chiusa”.
Stette ferma per un po’ sapendo che avrebbe sentito il sommesso pianto di sua madre.
Ridiscese verso la cucina, Eleonora stava per uscire come ogni giorno per tornare più tardi per servire la cena.
La bambina, rimasta sola, sollevò uno sgabello, lo avvicinò ai fornelli accendendo la piastra elettrica su cui pose un pentolino con l’acqua con cui avrebbe preparato una camomilla per la madre.
Anche la parola “camomilla” per Clara avrebbe avuto per sempre un significato speciale.
Bussò alla porta, la madre aprì e le fece una carezza pietosa.
Clara si chiese come sarebbe stato abbracciare sua madre e, dentro di sé, volle e pregò che venisse un giorno in cui sua madre l’avrebbe abbracciata veramente; sul grande comò, da una cornice d’argento, sorrideva, come sempre, il piccolo Mario, biondo e bellissimo, l’unico figlio che sua madre amava, ancora con disperata passione, che ne assorbiva completamente la mente e la vita, facendole relegare i due figli rimasti in una cappa di indifferenza squarciata solo da sprazzi di rimorso e di pietà.
Clara non ricordava di aver conosciuto Mario, perché, quando lui se ne era andato, a soli sette anni, lei di anni ne aveva solo due.
Però Enrico, il suo fratello più grande, gliene parlava spesso, le mostrava i suoi giochi e, una volta, le raccontò di quando, mentre erano in bicicletta insieme ad altri bambini, un’auto grande, di colore grigio, aveva fatto in un attimo sparire Mario e tante altre cose. Soprattutto la mamma.
Clara si tolse gli abiti con cui era uscita e indossò un abitino che le aveva cucito Ermelinda, la madre di Eleonora.
Ermelinda custodiva una villa della nonna, fuori città, dove Clara con la sua famiglia andava d’estate insieme ai cugini.
A Clara piaceva andare in quella villa grande e misteriosa; nei grandi corridoi vi erano delle armature che di sera sembravano muoversi e nel grande parco vi erano tanti animaletti.
Clara si incantava a guardare i pesci nella vasca e gli uccelli variopinti nella voliera e giocava con i gatti di Ermelinda e col cane da caccia del marito Vittorio.
Ma a Clara soprattutto piaceva guardare la famiglia dei cugini e la loro mamma, zia Jolanda che con grandi braccia se li teneva stretti a due o a tre, ora l’uno ora l’altro, accontentando tutti e cinque figli.
La Madonna con un sorriso mesto era, come al solito, incorniciata sul comodino.
Clara la guardava spesso e le sembrava che la Madonna la guardasse.
Si chiese se la Madonna si fosse accorta che lei stava piangendo e fece un gioco che faceva spesso quando piangeva.
Prese il contagocce della bottiglietta del medicinale per la tosse e fece scorrere il liquido sulle guance della Madonna protette dal vetro.
Era bello vedere il volto di Maria rigato di lacrime come il suo e come quello di sua madre.
Si accorse che Eleonora era tornata, col fazzoletto ripulì il vetro e dimenticò di asciugare il suo viso; del resto nessuno se ne sarebbe accorto.
Mentre aiutava Eleonora ad apparecchiare, lo squillo del campanello la rese contenta: rincasavano il papa con Enrico.
Le uscite del sabato pomeriggio avvenivano sempre così: Clara andava con la madre nel grande atelier della nonna e poi percorrevano tutto il lungomare per tornare a casa. Enrico usciva col papà che lo portava al bar dove con gli amici parlavano di calcio e di altri sport.
La sera si ritrovavano per la cena come del resto tutte le altre sere.
La mamma, sollecitata varie volte anche da Enrico, scese per la cena.
Per Wanda ogni boccone era come un medicinale amaro. Odiava il cibo, odiava sedere a tavola, odiava parlare e sentire parlare.
L’unico legame con la realtà era la cura per casa e gli oggetti in essa contenuti.
Esigeva da Eleonora un ordine assoluto e grande attenzione per la tappezzeria e la mobilia.
Ogni oggetto doveva rigorosamente rimanere al suo posto, la tovaglia doveva essere sempre e solo bianca, ed era obbligatorio usare posate in argento e piatti in porcellana e maneggiare gli stessi con attenzione meticolosa.
In attesa che Eleonora servisse il primo, Clara si alzò dalla sua sedia e si avvicinò al papa per abbracciarlo.
Enzo la strinse, guardandola come al solito estasiato.
Clara lo ascoltava poco quando il papa ne decantava la bellezza ed era sicura che ogni papa credeva che la propria figlia fosse bella.
Mentre Clara faceva scivolare la mano sulla giacca di velluto rosso del padre, facendo dei piccoli solchi con le dita, il suono del telefono dalla biblioteca fece sobbalzare Enzo che andò a rispondere.
Ricomparve dopo pochi minuti e si precipitò in cucina per avvicinarsi a Eleonora.
Dalla sala non si percepivano le parole, ma si udivano i singhiozzi della ragazza.
Wanda si alzò e si avvicinò alla cucina, mentre Eleonora ne usciva in lacrime e si avviava verso la sua stanza per prepararsi.
Enzo spiegò che Vittorio aveva avuto un incidente nei campi e che in ospedale i medici avrebbero tentato di salvarlo con un intervento.
Telefonò ad Alfonso, l’autista, chiedendogli di accompagnare Eleonora al Policlinico di Napoli.
Clara riflette sull’accaduto pensando che voler bene fa anche soffrire tanto e vide Eleonora scomparire nel suo cappottino a quadri mentre col capo chino passava il fazzoletto sopra il viso prima di uscire.
Enzo disse ai bambini di allontanarsi perché doveva parlare con Wanda.
Enrico mise un braccio sulla spalla della sorella, l’accompagnò in camera, le chiese i quaderni per guardare i compi- ti che la bambina aveva fatto nel primo pomeriggio.
Mentre sul volto di Clara scendeva una lacrima, Enrico le diede un tenero buffetto e le accarezzò le mani.
Clara non disse perché stesse piangendo, ma Enrico sapeva che lei aveva capito che, come sempre, quando Eleonora era lontana da casa, i genitori decidevano, dopo un breve dialogo, di portare Clara a casa della zia Agnese affinché questa accudisse la bambina.
«Ricordi come ha pianto Clara l’ultima volta che è andata da zia Agnese?» disse Enzo.
«E passato più di un anno, Clara sta crescendo e si rende conto di tante cose» tagliò corto Wanda.
Enzo, però, quando tornava aveva bisogno dei suoi figli e trovare la sua bambina che cullava il bambolotto con amorevole cura gli procurava una gioia tenera, a cui non avrebbe voluto rinunciare neanche per una sera.
«Proprio perché Clara è cresciuta potresti provare a farla stare a casa anche senza Eleonora» replicò Enzo.
Ma Wanda fu irremovibile e dura.
Gelidamente disse: «Lo sai che non sono in grado di badare a Clara; io non volevo rimanere anche per questo; fosti tu a supplicarmi di vivere e mi promettesti che non avresti chiesto o preteso che io facessi più di quanto mi sentissi».
«Certo» disse Enzo.
Enzo ricordava, eccome se ricordava, che la sopravvivenza di Wanda era l’esito di un compromesso.
Ricordava le parole di Wanda «se mi ami perché vuoi costringermi? lo non posso dare più niente a nessuno, non posso fare più niente per gli altri».
Enzo le aveva promesso «ti chiedo solo di esserci, non ti chiederò mai niente. Non dovrai fare altro».

***

Leggiamo e commentiamo insieme due capitoli del libro Il romanzo che non c’è di Elisa Barone, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

53 COMMENTS

  1. Mi fa pensare che la solitudine è la fedele compagna dell’essere umano quando diventa anziano e “oltrepassa” la soglia degli albori della vita.I soliti movimenti quotidiani diventano un’abitudine senza anima e il silenzio che molto spesso parla più delle parole,questa volta non dice nulla e rimane “muto”,parola usata dall’autrice,secondo me, non per indicare malinconia,ma per implorare la memoria di conservare i ricordi ed i momenti più belli della vita,che diano anima a quelle e a tutte le “statue” che si tengono esposte in salotto.Trovo che le parole del romanzo siano un rimprovero alla stupida vanità e alle dicerie retrograde e retoriche di gente che non ha conosciuto quel “sole” dentro, di cui parla l’autrice,che invece ha visto la luce meravigliosa di quel sole e lo vuole rendere pubblico. Complimenti! Un saluto da Consuelo Greco.

  2. Carissima Elisa,
    è questo l’unico modo che ho per ringraziarti di vero cuore, emozionata e commossa.. mi è arrivato il tuo libro, con le tue righe scritte per me!
    Grazie grazie davvero, mia dolcissima amica.
    Lo leggerò tutto d’un fiato.
    Assaporandoti.

    Grazie.
    Ti abbraccio con tutto il mio affetto.

    • Ti ringrazio anche io per le parole, per il fatto che hai gradito il piccolo dono e perchè leggerai il libro che mi è caro per certi ricordi che comunque racchiude. Con riconoscenza ringrazio manuale di mari e, in particolare Nicla che ci dà la possibilità di incontri e confronti, racchiudendo noi tutti in un insieme di comuni interessi ed emozioni simili. Un abbraccio.
      Elisa.

  3. volevo ringraziarti per avermi donato il libro che ho letto tutto d’un fiato nell’ora seguente il suo arrivo, tanta era la curiosita’ di conoscerne la fine!
    devo farti davvero i complimenti perche’ e’ un romanzo bellissimo che con la sua semplicita’ e’ capace di trascinarti all’interno della storia ed emozionarti davvero! ti giuro che in alcuni tratti ho pianto tanto ero coinvolta nella lettura!
    Concordo con chi ti ha scritto che e’ degno di una sceneggiatura!
    Grazie infinite anche per la dedica che mi hai fatto!
    un grosso in bocca al lupo!

    • Grazie Serena per l’attenzione che hai dedicato al mio libro che mi è molto caro perchè ,comunque, contiene dei miei ricordi e,in particolare,un ricordo incancellabile,struggente,sempre vivo.Chi mi conosce vede in me Clara,ma la storia di Clara ,non è la storia della mia vita.
      Nel libro c’è ,però,qualcosa di vero,in riferimento alla mia vita:la porta chiusa.
      Un caro saluto.
      Elisa.

  4. Grazie, amica strega del mare, hai usato parole che mi commuovono e mi fanno essere ancora più grata a Nicla per aver dato l’opportunità di questi scambi emotivi ed affettivi, nell’ambito di un’oasi, rispetto alla bruttura quotidiana a cui i media e la vita stessa ci sta tristemente abituando. Mi farebbe piacere inviare anche a te il libro e mi atterrò alle indicazioni fornite dalla Redazione. Ricambio il tuo abbraccio e grazie ancora.
    Elisa.

  5. Carissima Elisa, ti ho conosciuta pochi mesi fa grazie al Concorso di Emozioni, e vorrei fosse accaduto prima.
    Tutto d’un fiato sono scivolata tra queste tue righe, e poi di nuovo ho ricominciato, per assaporarle ancora di più.
    La tua capacità narrativa ha scolorito i confini della realtà, e ogni personaggio in un attimo è diventato vero, tangibile, e quasi mi sono sentita indiscreta a frugare nei meandri dei loro ricordi, dei loro sussulti, delle loro prigionie.
    Hai un grande dono, dolce Elisa. E io sono felice di avere la possibilità di vederlo.
    Ti abbraccio forte.

    • Cara stregadelmare se ti fa piacere avere il libro puoi scrivere alla redazione indicando il titolo del libro e il mio nominativo e io provvederò a spedirtelo.
      Un affettuoso saluto.
      Elisa

  6. Non ci sara’ il romanzo, na c’e’ una tristezza suprema nella mamma di Clara,
    orfana del figlio Mario.
    E Clara patisce, di riflesso, nella quotidiana malinconia. Come se le mancasse la Vita per vivere.
    Elisa tratteggia con arte l’atmosfera di una casa dominata da un vuoto che si fa presenza, palpabile nell’impalpabilità.
    Infatti con Mario bisogna sempre far i conti. E pesantamente.

    Gaetano

    • Infatti c’è dolore, malinconia senso di vuoto.L’atmosfera della casa ne è permeata,l’infanzia di Clara ne è avvolta al punto che Clara è privata dell’infanzia stessa,della spensieratezza a cui avrebbe avuto diritto come ogni bambino.Grazie per le riflessioni.Mi rendo conto che questo libro indirizzato per lo più a lettrici,in alcuni casi è letto volentieri anche da lettori attenti e sensibili.Quando capita,mi fa particolarmente piacere.
      Elisa

  7. Cara amica di lettura,dico a te ciò che ho già riferito ad altre persone incuriosite dal titolo e cioè che lo stesso ha una ragione ben precisa che sarà chiara alla fine della lettura.Avrei piacere che anche tu leggessi il libro per intero.Per ora ti ringrazio per il commento e per i complimenti.
    Un caro saluto.
    Elisa.

    • chiedo venia per non aver avuto il tempo di leggermi tutti i commenti….ormai sarai stanca di essere ripetitiva! Spero che questo angolo di confronto rimanga per poter darti la mia impressione dopo averlo letto tutto!

      • Cara Serena,in alcun modo mi stanca la precisazione sul perchè del titolo. Io stessa non leggo tutti i commenti degli incipit che leggo e, talvolta, commento.Il tempo dedicato a questi spazi scorre piacevolmente in momenti in cui ci si dedica a ciò che si desidera fare piuttosto che a ciò che si deve fare.Grazie per l’attenta lettura che mi riservi.Un caro saluto.
        Elisa.

      • ogni tanto ripenso a questo racconto e mi viene voglia di andare avanti..sono troppo curiosa!! volevo chiederti se lo posso gia’ trovare in libreria o se si puo’ acquistare qui sul sito…mi puoi aiutare?

      • Cara Serena puoi contattare la redazione indicando il titolo del libro e il mio nominativo. La redazione mi fornirà il tuo nome e il tuo indirizzo ed io che ho ancora due libri da poter inviare te lo spedirò molto volentieri.
        Un caro saluto.
        Elisa.

  8. che libro! non vedo l’ora di leggerlo per intero!
    e’ fluido e particolare nella descrizione di tanti particolari senza risultare noioso…e poi ha il potere di rapire il lettore e trascinarlo in una storia intensa e ricca di emozioni forti, una storia di dolore e rancore nei confronti di una madre assente, che vista attraverso gli occhi di una bambina rende il tutto ancor piu’ triste e coinvolgente! non deve essere facile per una madre perdere un figlio, ma il dolore di chi rimane ma non viene considerato e’ particolare e devastante.
    Rimane la mia curiosita’ per la scelta del titolo…io la vedo come “racconto che non c’e'” quasi a sottolineare il fatto che Clara vuole estraniarsi da quella bambina che non ha ricevuto l’amore materno, come se non fosse lei o fosse una storia mai accaduta realmente, ma sono molto curiosa di sapere qual’e’ la natura vera di questo titolo cosi’ intrigante.
    Davvero complimenti all’autrice per aver ideato una storia cosi’ coinvolgente.

  9. Ho letto queste righe tutte di un fiato, del resto non potevo fare diversamente in quanto adoro leggere racconti fatti di descrizioni particolari di ambienti, cose, persone e relativi sentimenti.
    Complimenti per questo libro che regala un cospicuo lascito di emozioni.

    • Spero che la lettura possa arrivare fino all’ultima pagina.Per ora ringrazio per avermi palesato le emozioni che quanto letto ha già lasciato.
      Un caro saluto.Elisa.

  10. …e poi? Non è giusto troncare così il racconto, ormai ci stavo dentro .Ma chissà perchè questo titolo…non sarò un’esperta ma me sembra che il romanzo ci sia e come!
    Complimenti!

    • Per martina e Maria Landolfo .
      Mi piacerebbe che leggeste il libro. Il titolo di ogni opera ha sempre una relazione col contenuto e, quasi sempre, fin dall’inizio si rileva la predetta relazione. Il romanzo che non c’è è un libro di cui si comprendono significato e titolo solo alla fine della lettura.
      Grazie e un caro saluto.
      Elisa

  11. Queste le mie riflessioni sul brano letto.Il genere ” romanzo” è una costruzione molto rigorosa e una struttura, se vogliamo, razionale, in cui deve entrare tutto, che deve toccare tutte le corde dell’animo umano,anche quelle più irrazionali e i sentimenti più ambivalenti .Il titolo (Il romanzo che non c’è) secondo me si riferisce ad occasioni mancate, ai sentimenti ambivalenti che si hanno talvolta nei confronti dei genitori, che portano a immaginare come sarebbe stata la vita con dei genitori diversi da quelli che il destino ci ha imposto. Un “romanzo” o una vita vera, di squallide stanze d’albergo, persone depresse,delusioni? Non so come va a finire la storia, ma credo che il percorso sarà lungo e doloroso.

  12. Nelle prime frasi si muove il ricordo. Di ciò che è stato e -forse- mai più sarà. Poi arrivano i sentimenti, quelli veri, fatti di amore incondizionato e profondo dolore. Un’altalena di emozioni che è profondamente donna. Come le tue protagoniste. La figlia, la madre, la bambina.
    Complimenti per aver reso in questo romanzo un pezzetto di vita che appartiene a molti.

    • Per Valeria
      Fa piacere condividere ciò che si scrive,fa piacere far riconoscere la penna femminile e accorgersi che l’animo della donna sente come propri sentimenti di amore e dolore.
      Grazie e un caro saluto.
      Elisa.

  13. Sono rimasto affascinato da questo tuo racconto. Il tempo trascorre, ineluttabilmente, e niente appare più come era in passato. Forse sono diversi i protagonisti, forse qualche particolare non é più lo stesso. Ottima psicologia del personaggio, ma quello che ho letto non mi basta. Complimenti, Lenio.

    • Ti ringrazio per l’attenta riflessione.Il passato aleggia in tutto il libro attraverso il ricordo.
      Quando leggerai il romanzo,rileverai però la commistione fra ricordi reali ed immaginifici.
      Un caro saluto,Lenio.
      Elisa

  14. Gentilissima Elisa, complimenti per l’analisi attenta e profonda dell’animo della protagonista, Clara, bambina (e poi donna) alla ricerca disperata di un qualcosa che non potrà mai avere…
    Anche leggendo solo questo stralcio provo in cuor mio un’immensa tenerezza per la bimba dall’amore negato ed una forte rabbia per Wanda, tutta concentrata da un dolore che diventa indifferenza, ma soprattutto profondo egoismo; una madre che, troppo presa dalla sua personale sofferenza, non si cura dell’angoscia altrui.
    Dissento infatti da coloro che, come me, hanno commentato il Suo libro e che manifestano per Wanda una sorta di giustificazione e di comprensione che, a parer mio, è fuori luogo.
    Il dolore di una madre per un figlio che viene a mancare è indubbiamente un dolore incommensurabile, ma è altrettanto vero che concentrarsi sul proprio soffrire per negare quello di chi ti sta vicino è l’esempio più gretto di individualismo e di egocentrismo che ci possa essere…
    Wanda, chiudendosi nel suo mondo, non volendo “far entrare il sole”, non solo vuole che il suo dolore sia al sicuro, che non si possa aprire una breccia di speranza o di felicità nel suo futuro, ma vuole negare tale spiraglio anche nel futuro dei figli e del marito, costringendoli, più o meno consapevolmente, a soffrire con lei.
    E cos’è ciò se non egoismo?
    Un egoismo di cui la piccola Clara è a consapevole, là dove ricorda quanto sia bello guardare la famiglia dei cugini e la loro mamma, zia Jolanda che con grandi braccia se li teneva stretti a due o a tre, ora l’uno ora l’altro, accontentando tutti e cinque figli.
    Attorno a questa figura fredda, incapace di amare, il cui unico legame con la realtà è la cura per la casa e per gli oggetti in essa contenuti, ruotano figure la cui sensibilità ed il cui calore umano è sapientemente descritto dall’Autrice.
    Molto bella la figura del padre Enzo che, al ritorno dal bar stringe, Clara guardandola come al solito estasiato o che si rattrista all’idea che la figliola vada dalla zia Agnese perché e non vuole rinunciare a vederla che culla il bambolotto neanche per una sera, tanta è la tenerezza che gli suscita tale visione!
    Carnale e sensibile è pure il fratello Enrico che mette un braccio sulla spalla della sorella, l’accompagna in camera, le chiede i quaderni e le dà un tenero buffetto.
    Da questa tragica infanzia fatta di un amore sofferto e negato (e a volte quasi mendicato), intriso di una nostalgia struggente per un qualcosa che avrebbe potuto essere e che non è stato, a parer mio ne uscirà un personaggio forte, sensibile e profondo…
    Clara, da adulta, temprata dal poco amore materno, diventerà una madre eccezionale che saprà dare agli altri, a piene mani e senza riserve ciò che non ha mai avuto…
    Grazie per le emozione che ha saputo darmi…
    Antonella

    • Gentile Antonella,la ringrazio per la minuziosa analisi che ha riservato al breve testo esposto.Lei ha già capito alcuni elementi essenziali della narrazione;leggendo il resto capirà tutto.Io credo che la depressione esasperi i difetti caratteriali,peggiori gli istinti,alieni i depressi anche dagli affetti più cari.Ritengo che i depressi perdano l’amore:perchè è difficile amarli come se la depressione non li avesse devastati,perchè loro non sanno più amare.Questo libro non è autobiografico ,però contiene dei miei ricordi e mi piace parlarne con chi,come lei,legge con emozione.
      Grazie di cuore.
      Elisa.

  15. un racconto fitto, intenso a tratti descrittivo. La casa vive tra le pagine. E poi amore, dolore e sofferenza, un passato triste e la figura di Clara: tutti elementi che credo contribuiscano al successo del libro.

    Un libro che mi attira.

    Complimenti all’autrice.
    Stefania

    • Grazie cara Stefania,di aver colto ogni elemento di quanto letto e di aver “visitato” la casa dei ricordi.
      Un caro saluto .
      Elisa.

  16. Cara Elisa,

    Bellissima questa pagina di vita, un racconto intenso che racchiude tanti sentimenti umani, come la disperazione, il dolore, l’amore.

    Wanda chiusa nel suo dolore, ha costruiuto intorno a sé un grande muro, invalicabile, anche per gli affetti più cari, gli altri componenti della famiglia, non comprendono fino in fondo questo atteggiamento, ma sopportano per amore, niente deve disturbare il tormento, anzi sembra che la sofferenza sia più sopportabile soffrendo ancora di più, e per essere sicura che le ore della sua giornata siano piene di strazio Wanda fa un compromesso, dicendo che lei non può dare più niente agli altri.
    L’accettazione del compromesso è una prova di grande amore…ma Wanda non capisce che proprio quel grande amore, piano piano, le poteva infondere un pò di serenità per affrontare di nuovo la vita.
    Ho in fondo al cuore la speranza che questo libro abbia un lieto fine, proprio per dare uno spiraglio di luce alle persone che colpite da grandi dolori si risollevino per dare un nuovo senso alla vita, c’è sempre qualcuno dietro l’angolo che ti può porgere la sua mano.

    Un caro saluto

    Maria Luisa Seghi

    • Gentile Maria luisa,ha letto le prime pagine con analisi attenta e sensibile partecipazione.Chi leggerà il libro constaterà,del dolore di Wanda,subito conosciuto,tutta la sincera intensità.Ci sono casi in cui fra condanna a vivere e condanna a morte non vi è confine. Grazie per le parole.
      Un caro saluto.
      Elisa.

  17. E’ scambio di commozione, cara Maria. “Una penna intinta nel cuore” suscita commozione e tanta.
    Grazie.
    Elisa.

  18. Mi sono commossa leggendo questo splendido incpit, un nodo di sentimenti narrato con poesia e delicatezza, davvero molto bello, una penna che scrive come se fosse stata “intinta nel cuore”

  19. Splendido il titolo,che fa pensare un pò a Calvino.Ho apprezzato particolarmente la cura descrittiva,non è poi così semplice soffermarsi sui dettagli senza risultare noiosi e pedanti,in questo caso l’attenzione non viene mai meno proprio perchè si sente che quel soffermarsi anche nei piccoli particolari, non è mai un fatto fine a se stesso o meramente estetico, ma piuttosto una conseguenza della stessa forza visionaria di chi scrive che, nel momento stesso di mettere le cose nero su bianco,le “vede” chiaramente,come si stessero svolgendo in quell’istante sotto i suoi occhi.
    Hai mai pensato di tentare anche la strada del cinema? Secondo me la tua grande capacità descrittiva, e non mi riferisco solo alle ambientazioni ma anche alle pennellate decise con cui dipingi i personaggi, si presterebbe meravigliosamente e la cinematografia italiana avrebbe bisogno proprio di nuova linfa: da tempo è tristemente in crisi, perduta com’è in banali storielle generazionali per spettatori di bocca buona.
    Buona fortuna, per questa e per tutte le storie che sarai capace tirar fuori dal cilindro.

    • Cara Maria Giuseppa, posso solo ringraziarti per le parole di apprezzamento e complimentarmi per l’analisi attenta e minuziosa che, potrei sbagliare, mi fa intravedere capacità critiche di tipo professionale.
      A tutti noi che scriviamo piacerebbe vedere su uno schermo quel film da noi già proiettato sullo schermo della mente nel momento in cui scrivevamo.
      Un caro saluto.
      Elisa.

    • Grazie Nicla per le parole che dedica ancora al mio libro che anche per questo mi diventa ancora più caro.
      Elisa.

  20. Penso che per una madre perdere il proprio figlio sia terribile e questo romanzo sottolinea tutta l’angoscia di una donna di fronte all’inevitabilità della morte.
    Però, penso anche che, quando di figli ce ne sono altri, sia terribilmente egoista escluderli dalla propria vita e negar loro l’affetto di cui hanno bisogno.
    Wanda avrebbe dovuto continuare a vivere non per le suppliche del marito, ma per quelle creature che hanno un disperato bisogno del suo amore.
    Questo estratto mi ha messo addosso la voglia di sapere come continua questa storia di dolore e rimpianto.
    Mi chiedo se questa famiglia ritroverà la propria serenità perduta, perché una famiglia deve restare unita anche nelle difficoltà.
    I miei complimenti all’autrice per la sua capacità di riuscire a coinvolgere il lettore con questi drammi familiari che sono anche troppo frequenti nell’esistenza umana.

  21. Quanta sofferenza e rammarico in questo racconto. Anche le mamme sbagliano, sono esseri umani con i loro pregi e difetti.E come tali vorrebbero essere comprese.Per capire un pò di più dovrei leggere tutto il libro.
    GRAZIE per questo stralcio struggente.

    Marinella( nonnamery)

    • Per Marinella fois e Luna 70
      Andando avanti chi legge capirà il motivo per cui per Wanda quella porta chiusa era un’onda oceanica da cui voleva essere sommersa e rifletterà sul fatto che, talvolta, che si voglia o non si voglia, il dolore supera l’amore.
      Grazie, amiche di lettura, delle vostre parole.
      Elisa.

  22. Il dolore spesso come quei muri, celato e vivo … il ritorno doloroso ad un passato dal quale ognuno vorrebbe fuggire, ma che portiamo addosso come seconda pelle. Commovente ed a volte struggente, personaggi tratteggiati con “bella penna” … io l’ho letto ed ho goduto fino all’ultima goccia questa preziosa storia. E’ inutile dirti che il tuo libro mi è piaciuto molto e che ho intenzione di rileggerlo a breve … ci sono cose che ad una prima lettura sfuggono, divorati dalla “voglia” della storia. Penso che la rilettura sia doverosa per ogni opera ed a maggior ragione per quelle, come questa, che ci portano a contatto con sentimenti e valori insiti in ognuno di noi. Grazie Elisa.

    • Cara Marisa,penso anch’io che il passato sia una seconda pelle.Noi siamo il nostro passato se abbiam vissuto con consapevolezza e, se sentimenti e valori sono esistiti,essi persistono nel ricordo e nell’animo.
      E’ bello ritrovarci e comprendere che le parole scritte sono come messaggi che passano da una sensibilità ad altre consoni e quasi conformi.
      un abbraccio
      Elisa.

  23. È straordinario vedere come i sentimenti comuni a tutti, sia nuovi che più antichi, restino impressi nel cuore di ognuno con la lettura di certi capolavori! Le cose belle vivono solo nell’anima!
    Complimenti!

  24. In queste righe si sente il sapore dei lontani ricordi e forse di profondi rammarichi. E’ un testo impegnato sugli affetti più importanti dell’essere umano, quelle emozioni, quelle sensazioni e quelle delusioni che ti porti dentro e che rivivi ogni giorno per tutta la vita. Un libro che ha anche un profondo insegnamento, cioè di imparare a gestire i nostri sentimenti e di riuscire a colmare i vuoti che possono esserci nelle persone che più amiamo al mondo.

    • Gentile Maria, ricordi, rimpianti sensazioni li abbiamo dentro di noi e, chi scrive, li cala nelle pagine dei libri per condividerli gioiendo di poterlo fare.
      Grazie.
      Elisa

    • Grazie Scimiterna, l’animo di chi scrive incontra l’animo di chi legge con l’attenzione che tu sai dedicare alla lettura.
      Un caro saluto. Elisa

  25. La mamma, una figura importante, da cui ci si aspetta sempre tanto e che da’ sempre tanto… ma a volte una mamma ha anche bisogno… bisogno di essere compresa, di essere capita nei propri errori, nelle proprie esigenze… di essere aiutata a colmare le mancanze, le disperazioni che la vita porta con se e che lasciano un segno indelebile nella vita di tutti, anche della mamma…
    Chissa’ che la bambina, cresciuta e diventata mamma, non possa un giorno comprendere piu’ a fondo quello che da piccoli non si puo’ comprendere!
    Complimenti, un testo davvero profondo e con degli spunti di riflessione davvero intensi, mi piacerebbe tanto poterlo leggere per intero, sono stata figlia (di una mamma tenerissima che purtroppo non c’e’ piu’ al mio fianco) e sono mamma anch’io di due bellissimi e dolcissimi bambini!

    • Gentile Fiorella, rispondo alle tue sensibili parole attraverso frasi del libro “mentre Clara era buttata per terra ad aspettare l’esito della TAC, il pensiero di sua madre le si conficcò nel cervello come una fiocina e, finalmente, riuscì a capire perchè sua madre, dopo, aveva passato quasi tutto il resto della vita chiusa in una stanza” e ancora “Clara con le mani giunte, ringraziò il dottore e pensò a sua madre, al suo strazio, e abbracciò se stessa fino a farsi male, come se avesse voluto cingere, in un abbraccio che non c’era mai stato, il corpo di sua madre che, però, non c’era più.
      (La protagonista si chiama Clara ed è stato riportato il nome Giara per mero errore materiale) Grazie Elisa

      • Gentilissima Elisa,

        può precisare se l’errore (“Giara” invece di “Clara”) è nostro (nella scansione dei testi dal libro può succedere) o è un errore proprio del libro. Nel primo caso provvediamo alla correzione. Grazie.

  26. dalle righe lette..quante emozioni e sentimenti! Un ritorno alle origini, una sofferenza che forse il tempo non riuscirà a colmare, l’ amore mancato della madre..
    Le finestre chiuse alla luce del sole e forse chiuse all’amore e al sentimento vero e sincero tra madre e figlia..

    • Gentile Chiara, fa piacere essere riuscita a trasmettere il concetto di sofferenza per un amore oscurato dal dolore.
      Nelle pagine seguenti amore e dolore avranno momenti alterni e, chi legge, alla fine potrà capire cosa sia stato prevalente.
      Un caro saluto e grazie.
      Elisa

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