Una camicia a fiori di Elisa Barone

La governante aprì la porta a vetri che divideva in due l’enorme salone e, mentre si avvicinava al gruppo degli ospiti ed ai padroni di casa, si rivolse alla signora e le riferì che il bimbo, finalmente si era addormentato.
Iris sorrise e promise a tutti che alla fine della serata avrebbero potuto vedere Marco mentre dormiva.
Intanto chiese alla governante di richiudere la vetrata affinché la musica del pianoforte a coda che suo marito stava per suonare non raggiungesse le camere al piano di sopra.
Gli ospiti, intorno al pianoforte, attraverso i vetri della grande veranda che circondava l’attico, vedevano lo spettacolo della cupola azzurra della splendida cattedrale.
La luce dei lampioni della piazza del Duomo si irradiava sui tetti del centro storico.
Di fronte la montagna scura e rigogliosa di Brunate era illuminata dalle luci della funicolare che trasformavano i binari in una fascia luminosa e quasi magica.
Poi, come ogni sera, chiese alla governante di non chiudere la porta della propria camera per poter sorvegliare il sonno del piccolo Marco.
Marco aveva due anni, era un bimbo meraviglioso perché era bellissimo ed aveva un’intelligenza talmente spiccata che lo rendeva di grande precocità nella sua crescita.
I genitori ne erano entusiasti e soprattutto la giovane madre viveva la maternità come un sogno meraviglioso.
Del resto Iris era una donna estremamente appagata da tutto ciò che la vita le aveva riservato. La famiglia ricchissima ed altolocata le aveva consentito di studiare nei migliori collegi della svizzera francese e lì aveva vissuto un adolescenza ed una giovinezza dorate mentre in Italia infuriava la guerra.
La ragazza nulla aveva conosciuto dei tormenti, delle ansie, delle delusioni che spesso accompagnano l’età giovanile ed adolescenziale.
Non era mai neanche incorsa in batticuori e sogni d’amore non realizzati che tante lacrime avevano fatto versare alle sue amiche.
Lei godeva della sua vita giocando al meglio le carte fortunate che ne aveva ricevuto, convinta che con carte buone si dovesse vincere sempre.
Le amicizie fatte in collegio non le avevano fatto mai conoscere la solitudine; anche i viaggi ed i soggiorni in estate presso le ville delle compagne più care a cui ricambiava l’ospitalità nella sua splendida villa   di Bellagio, avevano allietato la sua giovinezza.
I genitori erano molto presi dai loro impegni lavorativi in quanto entrambi medici-chirurghi presso la clinica privata di loro proprietà, ma Iris era sempre stata serena nel  rapporto con i genitori di cui andava assolutamente fiera.
Lei, però, non aveva seguito la strada professionale dei genitori perché aveva voluto continuare gli studi nell’area letteraria e non scientifica laureandosi in lingue e letteratura straniera tanto che parlava correttamente quattro lingue.
Appena uscita dall’università, Iris conobbe il giovane ingegnere Dante Di Nardo e lo sposò dopo pochi mesi. Il giovane l’aveva affascinata per il bell’aspetto, la cultura, la raffinatezza ed era avviato ad una carriera brillante anche all’estero, tanto che Iris utilizzò le proprie conoscenze linguistiche seguendo il marito negli spostamenti in Europa che il lavoro di lui comportava.
Solo quando Iris rimase incinta l’ingegnere Di Nardo decise di accettare una proposta lavorativa a Milano, la sua città, stabilendo però a Como, nella città di Iris, la residenza familiare.
Alla  nascita di Marco, Iris si rese conto che nulla avrebbe potuto più chiedere alla vita e mai avrebbe potuto sfiorarle l’idea che forse la vita un giorno avrebbe chiesto a lei qualcosa e la più importante.
Gli ospiti attraversarono, silenziosamente, l’altra parte del salone  ed iniziarono, in fila indiana, a salire la grande scala in marmo rosa, coperta al centro, da una guida in moquette rossa.
Si accalcarono quasi senza fiatare intorno alla culla.
La penombra faceva scorgere Marco che dormiva: il caschetto liscio e biondo gli incorniciava il viso, le manine erano adagiate sul lenzuolo, il respiro era tranquillo.
Nessuno fiatò; poi tornati in salone, furono tutti prodighi di complimenti mentre Iris e Dante si guardarono con gioia e complicità e, in particolare Iris seppe trasmettere al marito la consapevolezza che Marco non era un bimbo come tanti, Marco era di più, di più.

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Dal libro inedito Una camicia a fiori di Elisa Barone

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Immagine: Lotus Lilies di Charles Courtney Curran, particolare

1 commento

  1. Nessun possesso e’ eterno, almeno quaggiu’ . E nessuna gioia puo’ dirsi perfetta. Il dolore, in qualche misura, fa’ parte del mistero della vita. E tutti, lo sperimentano. Ne porteranno i segni anche Iris e Marco. Indossando una camicia a crisantemi.
    E quando piu’ la delizia sovrabbonda, tanto piu’ la pena scarnifica. Per un contrappeso esistenziale.

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