Da che parte si guarda la tua vita?
Me lo domando spesso. Da che parte ti dovrei guardare?
Si, hai capito benissimo, da che parte posso guardarti io, tra le gambe, in mezzo alle cosce, nel vuoto pieno della vita che hai, che dai, che ti prendi a cominciare da lì.
Dimmi se non è una provocazione erotica quella che mi stai muovendo da venti minuti almeno, sapiente di un umorismo tutto tuo, di materialità doviziosa e tua.
Ora e qui. Ti ho sul computer che mi racconti per filo e per segno cosa ti è successo nel pomeriggio, mentre mi ostino a mettere in ordine la scrivania ad esito della giornata e in vista del da farsi di domani.
Precisa, arrivi, una frase dopo l’altra, scrivi miratamente e ad effetto.
E’ così che t’ho conosciuta, che mi sei piaciuta o semplicemente è così che ti sei lasciata avvicinare.
Mi chiedo perché mai dovrei sapere cosa vi siete dette tu e la tua ginecologa durante la visita di controllo. A tutti i costi stasera vuoi dirmi che mentre ti guardava in mezzo alle gambe lei ha esordito:
“A mio parere, dovresti scriverci un romanzo”.
Perché me lo scrivi?
Distante, veloce e frammentaria riesci a non risparmiare dettagli, quelli dello studio medico, del procedimento tecnico della visita, le sensazioni, le interpretazioni possibili per i tuoi sentimenti, per la tua ragione, le tue sensazioni, tutto ciò che ho imparato, ma come se me lo avessi imposto di riuscirci, a cogliere distintamente e a sentire insieme di te.
Vuoi che ti veda, come ti vedessi, mal distesa e semi svestita sul lettino quasi reclinato, le gambe allargate agganciate ai trespoli, la dottoressa seduta sullo sgabello di fronte, più in basso, al centro, che posiziona la luce, la pinza di scabrosa locuzione latina e poi le dita inguainate di lattice.
Messa così tu e la faccenda della tua vita, c’è da chiederselo davvero cos’è che può aver suscitato nel medico la bella idea di trarne un romanzo.
C’è da chiederselo se il punto di vista rilevante sia quello sull’oggetto o sul soggetto della scena da commedia seriale televisiva.
La tua trovata è provocativa e non mi rimane, esplicito, che dire:
“Da che parte vuoi che te la guardi?”
A prescindere dalla prospettiva pseudo anatomica in cui vuoi mettermi per forza, tu, da che parte pensi mai di essere guardata?
Se non ti conoscessi, se non conoscessi qualcosa della tua vita, perché molto di più conosco quello che della tua vita tieni tra le gambe, bella mia, cosa vedrei di te?
Di te vedo lo strano erotismo, il tuo, niente altro che una specie di malinconia d’eros.
Ti manca qualcosa, infatti, ma come se ritenessi d’averla perduta.
Cos’hai confuso con il sesso, con un poco d’oscenità forse, tanto da sentirne la mancanza?
Cosa significa per te?
Ti comporti quasi non avessi consapevolezza della tua seduttività sessuale, si e no però, come non ti fidassi della tua femminilità, pur sapendolo che sei un richiamo o che l’attivi un richiamo sensuale e piuttosto chiaro.
Non ti basta il fascino che hai e ne hai da vendere.
Sei erotica, molto, ma malinconica altrettanto.
Non ti fidi del tuo aspetto, questo è evidente, hai bisogno di conferme, ti schernisci di fronte ai complimenti ma ne hai bisogno, anzi li provochi e ne ricevi molti, quelli degli uomini come quelli delle donne, da chiunque ti stia accanto.
In questo schema sono rientrato anche io ma solo all’inizio, solo per acchiapparti in linea per iniziare una conversazione nostra e che andasse avanti.
Va avanti da un bel pò, neanche due mesi e fa un anno che va avanti, non è poco.
Passiamo parecchio tempo insieme, meno presenti più virtuali, del tempo completamente inventato. Tempo di risulta, di scarto dal tempo reale e quotidiano delle nostre rispettive vite a lavoro e nel privato.
Io non ti amo, non ti amerò mai, tu lo sai, non mi appartieni ed io in niente sento di appartenerti. Sono imbrigliato da te e tu lasci che sia, non chiedi, ed io continuo a domandarmi cosa mi dai, cosa ti dò.
L’attrazione potrebbe essere passata, dopo la prima volta, c’è che non intendo privarmi di un laccio, teso, da me a te, perché da te a me non saprei, né voglio saperlo.
Non è sesso, non è sentimento, troppo facile, davvero non ci mancano, non ci mancherebbero. Dovrei parlare solo per me ma azzardo, sì, sono sicuro, quasi, che valga anche per te.
Forse è comprendere, forse è mettersi in attesa, forse aprirsi una via di fuga.
Sì. Quello che faccio con te è uno strano avvenimento del capire aspettando di sentire, di andare oltre. Guardandoti, e non so da dove, l’ho detto, accade così, mi succede di capire, non te, però, non me.
Dal libro Da che parte di Ernesto Maria Elona
CARISSIMI del BLOG, sono davvero felice di leggere e rileggere i vostri commenti al mio libro. Non è facile per me parlare del mio lavoro, l’ho scritto e l’ho voluto pubblicare con molto impegno, di ragionamento, di sentimento e di scrittura. Continuo a scrivere, a mettere alla prova le modalità espressive che sento mi appartengono, attraverso la mia scrittura cerco di capire, come il protagonista di “Da che parte”, attraverso l’oggetto del desiderio cerca sè stesso, il senso del percorso di vita trascorso e che lo trascina via…Il bel rumore…
GRAZIE A TUTTI
Ernesto
Missione compiuta! Un libro complesso il tuo, Ernesto, che ha l’incipit congegnato in modo da indurre in errore il lettore. Sembra, infatti, un modo provocatorio di affrontare il tempo che viviamo. Privo di progettualità. Teso a consumare le cose e le persone. Il tempo del ‘qui e ora’, che coinvolge anche i rapporti affettivi. Tempo liberato, perchè, come sottolinei a pagina 11, il vero tempo libero non esiste più. Si usufruisce del tempo di scarto,affrancato dal lavoro, dai momenti dedicati a se stessi, dal tempo virtuale, che non è libero, perchè inchiodato allo schermo e non ai momenti vissuti insieme. L’incipit è un bell’imbroglio! Così come lo è la volontà di precisare che la protagonista jugoslava, bella da non dire, colta, sposata per amore, schiava dei nostri ‘pregiudizi banali e abusati’, ‘portatrice sana di guai e di sventure’, non la ami, ma la desideri…Scrivi “io non ti amo” sei volte, quasi per timore di non essere abbastanza convincente. E non sei convincente, lo sai bene, perchè non può essere solo desiderio , nell’era del ‘qui e ora’ una ‘donna che, da qualsiasi parte la guardi riempie e toglie la possibilità di concentrarsi su altro’. E’ forse paura del troppo! Perchè cerchi soluzioni riduttive a un rapporto che ti coinvolge e stravolge, che rapina pensieri, crea voragini di fantasie, di ricodi, si astrae in musica di Vasco e in quella classica. “Senti che bel rumore”-un’espressione stupenda del nostro cantautore-, diviene il rumore di lei in ogni momento…”Una puttana di testa”, non può essere un’occasione per tradire la donna della propria vita, ma piuttosto una donna Immensa che ti aiuta a capire i limiti della tua esistenza. E infatti, nel corso del monologo, si srotolano le storie del tuo quotidiano, le idee politiche, la famiglia difficile, smembrata, e la ragazza giovane, Alessia, su misura per i tuoi desideri, che sogna un rapporto fisso e un bambino, ma che non sembra sia “salita su un giorno con te”. Una frase così sontuosa parla d’amore, d’amore che prescinde dall’eros, che è fatto di ‘ricordi e confidenze, riflessioni e sentimenti. Senza confessare ti sveli a poco a poco ed è auentica sorpresa sondare la profondità delle strutture mentali maschili, di solito più semplici di quelli della donna. Ricorri alle poesie, alle canzoni, ai brani jazz per cantare un amore reso impossibile solo dagli eventi. Dalle scelte di lei, innanzitutto. Infatti concludi ammettendo ‘se potessi amare te’ e’come se t’amassi, come se m’amassi’…scivolando nel sogno. Senti che bel rumore…grazie Ernesto!
GRAZIE A TE, carissima…Il tuo nome fa parte del mio….
E.
Ernesto, che bella, inattesa sorpresa il tuo libro! Non credevo di meritarlo!
Mi intriga moltissimo e mi seduce ‘di testa’ per lo stile nuovo, originale e provocatorio. Oggi è difficile cimentarsi in prosa coniugando l’invenctio o l’autobiobrafia con stilettate narrative moderne, ma lontane dal gergo parlato. I rapporti telematici stanno riducendo lo scrivere a qualcosa di scabro, nell’accezione peggiore del termine.
Tu innovi e appassioni. Sono fiera e grata di poterti leggere! Maria
Mi piace molto la scrittura, questo parlare di una persona, questo descriverla, questo giudicarla.
Spero di poter leggere il libro
Traspare una profonda complicità uomo-donna che a tratti fa diventare il narratore alquanto sfacciato, coma a dire: “sono a conoscenza dei tuoi pensieri più profondi” e “posso disporre di te a mio piacimento”. Un sentimento che va oltre l’amore e oltre un rapporto di mero sesso.
Spero voglia darmi la possibilità di continute a leggere il suo libro.
Ernesto l’incipit del tuo testo mi ha fatto pensare a una grande provocazione dell’iio narrante, non della donna che ‘non si fida del suo aspetto’, ‘è erotica, ma malinconica altrettanto’, ‘si comporta come se non avesse consapevolezza della sua seduttività’…Lei è l’oggetto del desiderio, il capro espiatorio di una novella condotta sul filo dell’erotismo più genuino, della sensualità morbida e accattivante di un amante che vuole ritrovare l’intesa con la propria donna.
Lo stile è moderno, forte, ma mai volgare, a tratti dolce e molto accattivante. Sei uno scrittore che non percorre i sentieri battuti dagli altri. Un Artista coraggioso e bravo! Complimenti…
L’anteprima di “Da che parte” è abbastanza enigmatica. L’introduzione è il monologo di un uomo che usa il sesso come pretesto per aggredire la sua esistenza. La domanda esatta sarebbe: da che parte si guarda la vita? Pier Polo Pasolini nel 1975 pubblicò alcuni interventi, nel primo di essi l’autore riflette sulla perdita dei valori tradizionali. Oggi l’individuo vive tra macerie umanistiche, culturali e religiose, devastanti. Vale il detto: si raccoglie ciò che si semina. Va bene pensare che i valori tradizionali siano evaporati, ma per colpa di chi? E di che cosa? Sicuramente l’egoismo dell’essere ha portato la società ad autodistruggersi, visto che nessuno vuole rendersi responsabile di quanto sta accadendo, prendiamocela con chi ci vive attorno. Mi interessa molto conoscere questo libro, soprattutto per approfondire la critica.
Mi piace molto la domanda del personaggio narrante a inizio pagina. Penso che almeno una volta nella vita, ogni uomo se la sia trovata tra le mani senza remore, magari acciuffato da un pizzico di malinconia, sotto braccio a una carezza piovosa in una giornata d’autunno.
Niente sesso, niente amore, nessuna attrazione particolare, eppure vive quel leggero filo(che forse poi tanto leggero non è), che ci unisce a qualcuno. Ci sono momenti dove si vorrebbe spezzarlo questo filo, perché “è giusto così”, altri momenti dove sapendo d’interrompere un rapporto(di qualsiasi natura, basta che sia seducente), ci si blocca….E se cambiassimo il punto di vista sulla nostra vita? Mi piacerebbe sapere cosa penserebbe il nostro personaggio.
Complimenti all’autore
GRAZIE, “DA CHE PARTE” in fondo è solo un invito a cambiare punto di vista,
Ernesto
… non so perche ma leggere quello che hai scritto mi ha spalmato un velo di amarezza sul cuore… c’è un po’ di rancore o l’incapacità di parlarsi che spesso accompagna i rapporti tra le persone…. mi piace come scrivi ma è la tristezza quello che mi hai trasmesso….. dovrei leggere oltre
ciao
La tristezza, anche il rancore, sono sentimenti nell’abito consueto delle emozioni…una tira l’altra uno tira l’altro …dal rancore alla gratitudine, dalla tristezza alla serenità di un momento difficile…
E.
Il titolo del libro mi ha incurisito e leggendo la parte estrapolata non sono ancora riuscita ad inquadrare la storia, questo lungo monologo. Il tipo di linguaggio mi incuriosisce e spero di avere il piacere di leggre il romanzo. Grazie e buon lavoro.
Stefania C.