Morte di ghiaccio di Francesco Mundo

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Ho sempre amato la neve. La coltre bianca che copre la terra e sembra guarirne ogni male è tornata spesso nei miei sogni, ad addolcire le notti durante tutta la mia vita. Che delusione al risveglio!
Era bello l’inverno dalle mie parti tra la fine degli anni ’70 e la metà degli ’80.
Da dicembre a marzo, non c’era sera in cui non guardassi le previsioni meteorologiche in televisione, sperando che quella stellina bianca apparisse proprio lì, sull’Appennino meridionale, ai confini tra Calabria e Basilicata, a ridosso del quale vivevo con i miei genitori e mio fratello minore.
Capii ben presto che delle previsioni non ci si poteva fidare ciecamente, per cui non mi restava che coricarmi con la speranza di un dolce e bianco risveglio.
Al mattino, durante quel quarto d’ora che intercorreva tra la sveglia e la discesa dal letto, cercavo di capire dai rumori esterni – o meglio dalla loro assenza – se nella notte avesse nevicato: era buon segno se non passavano macchine; tuttavia, dato il basso livello di traffico che caratterizzava il paese, specie a quell’ora, quello non era un indicatore decisivo.
Ecco allora che mi fiondavo alla finestra ed alzavo la tapparella lentamente, quanto bastava per scorgere un pezzo di strada, verificando così se il mio desiderio si fosse avverato oppure, come sovente accadeva, se avrei dovuto rimandare la festa.
Spesso le speranze erano disattese, ma molte volte il sogno si avverava. Si dava così inizio alla festa bianca.
Dopo aver fatto il giro delle finestre e dei balconi di casa per vedere il bianco dono da tutte le possibili angolazioni, facevo una gustosa e nutriente colazione – due fette di pane abbrustolito al fuoco (a fellaruscia), condite con abbondanti olio e sale – e via sulla neve, imbottito come uno dei robot che tanto andavano di moda in televisione in quegli anni di guerra fredda.
Incontravo gli amici del vicinato per una pallonata di riscaldamento. E poi via per tutto il paese, a sprofondare, a scivolare, a cadere, a sudare e gioire alla vista dei fiocchi che continuavano a venir giù.
Non era insolito che dalle tegole sporgenti dei tetti, soprattutto quando la temperatura era molto rigida, pendessero dei veri e propri ghiaccioli (i cannlir), che staccavo con le mani e succhiavo per dissetarmi. L’eccitazione, i movimenti e gli sforzi che facevo per muovermi sulle strade coperte provocavano un surriscaldamento corporeo ed una sete che nemmeno in agosto avvertivo.
Tornavo a casa bagnato fradicio, stanco ma felice ed impaziente di uscire di nuovo, malgrado i malumori di mia madre.
Dolcissima era poi la sera: quasi sempre il cattivo tempo danneggiava il sistema di distribuzione dell’energia elettrica, perciò trascorrevamo diverse ore a lume di candela o con l’antica lampada a petrolio, all’uopo riesumata dal magazzino, che riempiva l’aria di un odore di cui hanno ancora ricordo le mie narici.
A letto presto, con la speranza del bis il giorno seguente. Il sonno pian piano mi conquistava, man mano che l’eccitazione cedeva il passo alla stanchezza.

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Tanti i ricordi di quelle giornate bianche: la scuola chiusa, la visita mattutina ai nonni ed il sorbetto all’arancia o al caffè con la neve raccolta sul balcone di casa, nel punto più protetto dalle contaminazioni.
La pausa da neve durava in genere due o tre giorni e già al secondo giorno mezzi di fortuna – in genere trattori cingolati – liberavano le strade per rendere possibile il transito.
Contro di essi io e gli altri ragazzi inveivamo invano perché stavano distruggendo il nostro sogno.
Tornavamo così a scuola e, immancabile, arrivava il tema sul fenomeno meteorologico appena passato.
Ah, l’ipocrisia dei temi! Tutti i ragazzi capivano che, per ottenere una buona valutazione del proprio “elaborato” – così si chiamava allora -, non dovevano scrivere ciò che sentivano davvero, ma quel che intuivano fosse consono al pensiero del docente su un determinato argomento.
“La neve è bella e porta tanta felicità a noi ragazzi, ma crea anche dei problemi perché blocca le strade, fa andare via la luce, ecc.”, doveva suonare più o meno così una delle frasi del mio ipocrita elaborato, mentre in realtà avevo una voglia matta di scrivere: “Amo la neve e tutte le sue conseguenze. Si fottano le strade, le macchine che non possono circolare e la corrente elettrica che va via! Tanto qui il progresso e lo sviluppo non ci sono mai stati e forse mai ci saranno, e non certo a causa della neve. Vorrei che nevicasse tre giorni e tre notti ininterrottamente, che la scuola fosse sommersa e chiusa fino a maggio!”
Penso che nessun insegnante, nemmeno John Keating (al secolo Robin Williams), il professore illuminato ed alternativo de “L’attimo fuggente”, avrebbe apprezzato il pathos di queste parole, che sarebbero state semplicemente liquidate come immature, edonistiche e, a loro modo, eversive.

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Odiavo chi sporcava la neve, ma quel giorno era il mio sangue a farlo.
A 35 anni stavo morendo, ma, nonostante la violenza di quella mano assassina, ero sereno, certo di non rimpiangere questo mondo.
Mi dispiaceva soprattutto per i miei genitori.
Ma il tempo, chissà, e il pensiero di sapermi finalmente in pace li avrebbero consolati.
Lo sentivo, il torpore della morte stava prendendo il sopravvento e poco dopo esalai l’ultimo respiro.

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“Poveraccio! È stato trafitto alla gola con un’arma da punta” mormorò il maresciallo.
“Maresciallo, non capisco. Nessuna traccia dell’arma del delitto e nessuna orma sulla neve”, questo il rapporto conciso dell’appuntato dopo una sommaria analisi della scena del crimine e dell’area circostante.
“L’assassino è fuggito con l’arma, magari disfacendosene in un altro luogo, ed il bel tempo degli ultimi giorni, sciogliendo gran parte della neve, ha cancellato ogni traccia della sua presenza e del suo percorso, il che ci complica maledettamente la vita” spiegò orgoglioso la sua tesi il maresciallo che, proseguendo il suo discorso, disse:
“Ragazzi, avvisiamo i familiari del ritrovamento; entro 12 ore voglio l’arma del delitto ed entro 24 il bastardo che ha ammazzato quest’uomo, o almeno delle idee ben precise.”
In tarda serata, quando la voce si era ormai sparsa per il paese, il maresciallo ricevette una telefonata: “Buonasera. Mi chiamo Gianni e sono un amico della vittima. Avrei un’importante testimonianza da fare.”.

***

Brani tratti dal libro “Morte di ghiaccio” di Francesco Mundo, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.

23 COMMENTS

  1. Salve!
    Per prima cosa Le chiedo scusa se Le scrivo solo adesso ma ho avuto problemi di connessione ad internet.
    Volevo ringraziarla di tutto cuore del bellissimo pensiero che ha avuto inviandomi il Suo libro. Grazie veramente tantissimo… conto di leggerlo al più presto!
    un caro saluto
    Giada

  2. trama a dir poco avvincente, che ti lascia senza fiato.
    stile molto tecnico e preciso.
    complimenti, ilaria

  3. Ok. Ci provo.

    Leggendo di nuovo il passo “cruciale” in cui il protagonista muore, ho percepito una sensazione di liberazione, proprio come se la morte gli avesse, paradossalmente, placato l’anima.
    Detto questo, rimango sempre sulla mia idea di chi possa essere l’assassino, che potrei definire “una persona a lui cara”, mi chiedo però se il protagonista non abbia cercato lui stesso la morte…forse era stanco di qualcosa, oppure non sopportava più una situazione difficile e non è detto che questa “persona” lo abbia aiutato ad uscir di scena in modo definitivo.
    La miss marple che è in me, ha espresso il suo verdetto!!
    A presto!

  4. Mi piace questo contrasto. Neve e sangue. Rispetto quasi religioso per la prima (infatti dici “odiavo chi sporcava la neve) e poi, tuo malgrado, ne diventi responsabile. Ma forse neve e sangue hanno qualcosa in comune. Lei è candida, tu sei stato ucciso. Ed entrambi siete puri.

  5. Bello l’intreccio tra la sobrietà della neve ed ai bei ricordi che le fanno capo e al contempo della sensazione di “gelido” che ne consegue non solo come direttamente derivante da essa stessa intesa come evento atmosferico in sè, ma anche e soprattutto in senso metaforico, in quanto delineante la suspance che circonda una morte.
    Una particolare tecnica di scrittura e di approccio alla storia stessa, complimenti sinceri.
    Giada

    • Ciao Giada, volevo chiederti se avevi ricevuto il libro. Se ti va, scrivimi le tue impressioni dopo che lo avrai letto.

      Francesco

  6. Gentile Francesco,
    in effetti volevo scriverlo nel mio commento, ma, nel remotissimo caso in cui avessi indovinato l’arma del delitto, avrei rovinato la sopresa agli altri lettori…
    Cosa mi consigli di fare?
    Cari Saluti!!

  7. Descrizione – fredda- gelata- non solo di un evento naturale ma anche di una morte vista con i propri occhi,con gli stessi occhi che ammirano la neve.Può sembrare distaccato ma ,nonostante un piccolo stralcio, sento il calore nei vari sentimenti che il protagonista avverte nel vivere, come “quella mano assassina”, “quell’odiare chi sporca la neve”.
    Credo sia interessante leggerlo fino in fondo.
    Complimenti

  8. Bellissime le parti descrittive inerenti la neve che hanno risvegliato in me sensazioni e ricordi che ormai credevo dimenticati (anch’io sono nata e cresciuta in un paesello di montagna dell’alto Piemonte e negli anni 70, 80 ero una ragazzina come il protagonista).
    Molto acuta e veritiera la riflessione sull’ipocrisia che gli studenti devono a volte far propria per compiacere gli adulti ed accattivarsi il giudizio positivo di costoro, anche se questo significa soffocare la propria spontaneità e le proprie emozioni.
    Brusco il passaggio dall’incanto della “coltre bianca” a quello della morte, una morte peraltro avvenuta serenamente, anche se nella frase emblematica in cui il protagonista pensa che il pensiero di saperlo in pace potrà lenire i dolori dei genitori, già si intuisce che la vita per costui non è stata facile ed è per questo motivo che non prova rimpianti per ciò che lascia.
    Ed infine il caso da risolvere, un caso di omicidio in cui l’arma del delitto è di facile intuizione… ma poi… sarà veramente omicidio?
    Complimenti all’autore che ha saputo alternare poesia, introspezione e realismo con uno stile di scrittura fluido ed accattivante.

  9. Stile asciutto. Tecnico, sottolineerei. Da ingegnere della penna.
    Anche le emozioni son schematizzate. Ma non per questo meno coinvolgenti.
    La psicologia s’intreccia con la sociologia : e cosi’ il mondo individuale s’immerge in quello comunitario.
    C’e’ tanta analisi e altrettanta nostalgia in ” Morte di ghiaccio” .
    In fine – ad indagini concluse – la neve si sciogliera’ , al pari dell’enigma delittuoso. Un giallo-bianco : nuovo genere noir meridionalista.

    Gaetano

  10. Ringrazio tutti per le parole molto belle espresse su una parte molto limitata del romanzo. Sarà veramente arduo decidere qual è il commento più interessante. Per M.Grazia: sono veramente curioso di sapere qual è il suggerimento che daresti al maresciallo.

    Saluti a tutti

    Francesco Mundo

  11. Dolcezza, serenità e poi la violenza sulla neve: mi ha spiazzato. Sono curiosa davvero di sapere in cosa consiste la testimonianza importante e sapere come va avanti al storia che si preannunzia buonissima.
    Molto piacevole il suo stile e il giusto pathos che ha messo nel racconto.

    Tanti saluti.

    Stefania

  12. Stupendo racconto che nella prima parte mi riporta alla mente tanti episodi d’infanzia.
    L’ho letto con una certa voracità, è scritto bene e crea una certa curiosità il giallo della morte del protagonista.
    Chissà cosa gli sarà accaduto precisamente…!

    • Prima di tutto ringrazio Francesco Mundo per avermi dato la possibilità di leggere il suo libro.
      Nel mio primo commento avevo scritto di aver letto la parte sopra scritta con una certa voracità e devo dire che questa voracità è continuata nella lettura dell’intero libro. Definirei questo libro un giallo, ma un giallo non comune in quanto anche se la storia è improntata su un’avvenimento, la storia del protagonista può essere raccontata come la storia comune di ognuno di noi, famiglia, amori, scuola, amici, momenti di felicità e momenti di difficoltà, a parte la sindrome d.o.c. che oggi ha una certa diffusione e con un’avvenimento particolare al salumificio, mai del tutto chiarito e difficile da digerire dal protagonista.
      Faccio i miei più sentiti complimenti ed un in bocca al lupo a Francesco per la sua opera, sicuramente intensa, accattivante e ricca di spunti di vita.

  13. Già dalle prime righe mi sono accorta che c’era un qualcosa in “comune” in questo racconto. E non mi sono sbagliata.Siamo figli della stessa terra di Calabria.
    Quanti ricordi hai risvegliato in me!
    Mi sono immersa in questa piacevolissima lettura che mi piacerebbe approfondire, leggendo questo libro dalla prima all’ultima pagina…
    Lo trovo nelle nostre librerie,vero?

    Complimenti, Francesco.

    Un saluto.

    Anna Laura Cittadino ( annaluna).

  14. Per me, che son nata e cresciuta in una città di mare e che ho visto la neve pochissime volte, è stato molto bello poter “entrare” nell’animo del narratore ed essere contagiata dalle sue mille emozioni: stupenda è la descrizione delle serate passate in casa grazie alla neve, per non parlare di quella della colazione (dire che mi è venuta fame è dir poco!), inoltre un 10 e lode all’elaborato che non fu mai scritto.
    Inaspettata è arrivata la morte di colui che ritengo sia il protagonista del romanzo…
    Se potessi dare un suggerimento al maresciallo riguardo l’arma del delitto….

    COMPLIMENTI!

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