Giulia voleva essere come loro: dolce come Olga, intelligente come Lina, affascinante come Delia.
Era la cocca delle zie. In lei vedevano riflesse un po’ di se stesse, con pregi e difetti variabili, secondo chi ne parlava.
«Estrosa come Delia!» le ripeteva zia Olga.
«Vanitosa come Olga e testona come Lina» diceva zia Delia.
Una famiglia matriarcale, che avrebbe influenzato profondamente la vita di Giulia. Ed avrebbe in qualche modo condizionato il suo modo di vedere gli uomini.
***
Le Vineis erano le ragazze più interessanti di Mongrando, un piccolo paese piemontese. La loro madre, Cesira, fu la capostipite di questa razza di donne senza paura. Si era innamorata a prima vista, a soli 17 anni, di Alessandro, un coetaneo bello, pieno di vita, generoso e irruente, di un’ingenuità disorientante, ma pessimo partito, senza un soldo, orfano e per di più analfabeta.
Tutto ciò non impedì il matrimonio di Cesira, figlia di un preside e di una maestra: due personalità, per l’epoca, che avevano cercato di dare una buona istruzione alla ragazza, che amava il teatro, la musica e la lettura. La libertà era stata uno degli insegnamenti dei suoi genitori. Non interferirono nella sua scelta, ma non se ne ebbero a pentire, perché la vita di Cesira e Alessandro fu lunga e felice.
Cesira provò ad insegnare ad Alessandro a leggere e scrivere: fu un fallimento e lui imparò solamente a firmare con mano incerta e a leggere quel tanto che basta per capire, nulla di più. Non era un uomo interessato alla cultura e di questo Cesira ne era piuttosto dispiaciuta, ma lo amava per quello che era e non gli chiese mai di cambiare.
Sapeva che suo marito era dotato di un grande talento naif.
Creava lame, coltelli, grate, balconi, ringhiere e cancelli con bellissimi disegni che forgiava sul fuoco. Nella piccola officina dove lavorava, Alessandro appariva a Cesira come un grande artista e si inteneriva nel vederlo così, rosso, affaticato, felice di mostrarle il lavoro finito, sempre con qualcosa di artistico, perché anche il più banale coltellino aveva un suo ricamo, un’incisione, una cifra che lo rendeva unico. Lei lo aveva capito e apprezzava i suoi lavori.
Nel giugno del 1893 nacque la loro primogenita, Delia.
Alessandro non si oppose a quel nome, anche se non gli piaceva. Si ripromise però che il suo secondogenito avrebbe avuto un nome di sua scelta e di suo gradimento.
«Ara, se sarà un’altra femmina la chiameremo Ara» disse Cesira, dal momento in cui restò incinta per la seconda volta.
Suo marito ascoltava spesso questo ritornello, ma faceva sempre finta di non sentire. Che diamine, il secondo figlio doveva per forza essere un maschio, così il nome l’avrebbe deciso lui, il padre!
Ma appena la levatrice fece entrare in camera da letto Alessandro, davanti a una puerpera esausta, che aveva appena partorito la sua secondogenita, le disse: «Allora, Cesira, come la chiamiamo?».
«Perché, come vorresti chiamarla? Margherita? Aurelia? Lo sai benissimo come la chiameremo!» gli aveva quasi urlato dal letto, provata dal travaglio. Non aveva perso la sua grinta.
Quell’uomo ogni tanto le sembrava tonto. Possibile che fingesse di non ricordare? Nei nomi che voleva per le sue figlie c’erano anche frammenti dei suoi sogni, lui avrebbe dovuto lasciarle almeno quello spazio, senza tanto recriminare! All’ufficiale dell’anagrafe, Alessandro disse con garbo: «Mi è nata un’altra bambina. La chiamiamo Margherita Aurelia».
La scenata di Cesira non pose rimedio a quel nome che sembrava uno scherzo. Ma la piccola Margherita Aurelia fu sempre, per tutti, solo e sempre Ara.
A ruota nacquero Virginia, Olga e Primo, che in realtà fu battezzato col nome del padre di Alessandro: Mattia.
Cesira pensava tutto il male possibile del suocero e aveva già deciso che non si meritava quella continuità. Sapeva quanto Alessandro era stato maltrattato da bambino, motivo sufficiente affinché il suo unico figlio maschio non si chiamasse come il nonno.
Anche Alessandro non poteva dimenticare la profonda ferita sull’avambraccio destro, ricordo di una delle tante violenze subite.
Per ultima nacque Giacomina. Quel nome fu affibbiatole in segno di rispetto per lo zio Giacomo, che aveva aiutato Alessandro a superare i momenti difficilissimi di un’infanzia infelice e molto dura. Certo non era un gran bel nome per una bambina, così entrambi i genitori adottarono subito quel diminutivo, “Lina”, che le restò appiccicato per tutta la vita.
***
Giulia si stupiva di quanto le zie fossero colte, raffinate e intelligenti.
Avevano vissuto in una famiglia modesta, ma a differenza delle altre bambine dello stesso ceto avevano frequentato la scuola fino ai 16 anni.
La loro madre non voleva altri analfabeti per casa e fu lei stessa a insistere col marito affinché le figlie imparassero ad amare, prima che la cucina e il ricamo, le buone letture.
Cesira incoraggiava ogni vocazione pseudo-artistica delle ragazze, dal disegno alla recitazione, dal canto al ballo, alla scrittura di poesie.
Così quel cortile, nelle sere d’estate, si animava di fanciulle che cantavano pezzi d’operetta accompagnate dalla chitarra, che Primo aveva imparato a suonare.
E al richiamo di quella musica e di quelle voci, arrivavano i vicini, e anche qualche ragazzo che abitava nei dintorni: guardavano le Vineis con un certo timore, le sentivano distanti, orgogliose, al di sopra di ognuno di loro, ammiravano il temperamento ma ne avvertivano la forza e diffidavano di quelle giovani donne che non conoscevano la timidezza, dote indispensabile per una buona sposa!
Cesira era avanti con la mente, anni e anni più moderna delle sue coetanee: orgogliosa della sua famiglia, non avrebbe desiderato averne una diversa.
Le Vineis sognavano attraverso i romanzi che leggevano e speravano in una vita piena di affetti esaltanti, di entusiasmanti passioni, di grandi amori.
Dando loro un’istruzione la loro madre si era illusa di garantire alle figlie una vita migliore. Ma la loro anacronistica libertà fu più un ostacolo che un vantaggio. Impararono presto a contare più su se stesse che sull’aiuto maschile. Gli uomini sarebbero stati delle presenze marginali nelle loro vite, a volte ingombranti figure dalle quali liberarsi per emergere o semplicemente per sopravvivere.
L’intelligenza, l’arguzia, il senso dell’umorismo delle ragazze, erano una barriera per quegli uomini che non volevano sentirsi inferiori. Spesso furono giudicate arroganti e superbe, pessimi elementi da matrimonio, anche se terribilmente seducenti.
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In quel cortile l’aria profumava di fiori, gli stessi fiori che Cesira amava coltivare in grandi vasi. Le begonie più belle, dalle corolle rosa, rosse, gialle e bianche, stavano, intervallate a gruppi di colore, sul balcone di casa.
Alessandro aveva costruito dei portavasi modellati ad arco, in ferro battuto, che appoggiati al muro grigio che dava sull’orto, accendevano con ciuffi di fiori ricadenti quel pezzo di corte incolore.
Le voci delle ragazze, le letture e le canzoni, erano un richiamo per tutti e Cesira in quei momenti capiva che gli altri cercavano di assorbire quell’atmosfera, ma non riuscivano a farne parte. Controllava, senza farsene scorgere, le reazioni e le attenzioni del vicinato ed era fiera di quello che vedeva.
Cesira era legata alla sua terra: fin da ragazza, si incantava ad osservare la linea dritta della collina della Serra, le pareva un palcoscenico nel quale si esibiva la natura. Durante l’estate si accodava alle donne che andavano a lavare al torrente, per potersi bagnare i piedi in quell’acqua limpida. Ma non rimaneva con le altre a parlare dei fatti di Mongrando, si estraniava per godere in solitudine quel contatto con la frescura, per dialogare intimamente con il Viona e l’Ingagna, i due piccoli corsi d’acqua che la facevano sentire serena e viva.
E poi amava la Bessa e i suoi sassi grigi. Nessuno la capiva quando diceva che lì c’era un’atmosfera da favola: per tutti, la Bessa non era altro che un passaggio arido, con cumuli di pietre che impedivano alla vegetazione di svilupparsi. Ma per Cesira il profumo del biancospino, la pace e il silenzio misterioso dei suoi passi attutiti dal muschio, rendevano quel luogo assoluto e spirituale.
***
La primogenita Delia era così esuberante! Sua madre sapeva che, al di là delle sue due grandi passioni, il teatro e i vestiti, era una donna molto concreta.
Il paese che l’aveva vista nascere le era sempre stato stretto.
Il frutteto dove giocava da piccola, che agli altri bimbi sembrava immenso, per lei era limitato.
Sua madre notava in ogni piccola cosa, anche nelle vecchie stoviglie, una propria armonia, ma per Delia la vita quotidiana era priva di oggetti stimolanti.
Erano diverse loro due, Delia forte e appassionata, Cesira riflessiva e fiera, eppure si comprendevano alla perfezione.
«Io e Merope ci sposiamo» annunciò alla madre, alla vigilia del suo diciassettesimo compleanno.
«Perché?» chiese Cesira, convinta che in quella decisione l’amore non c’entrasse per nulla.
Delia non volle confermare i dubbi della madre.
«Ci sposiamo e poi partiamo per Londra».
Cesira aveva capito i desideri della figlia. Lasciò cadere un lenzuolo che stava rammendando, si alzò dalla sedia e le si avvicinò, agendo in modo insolito per lei, madre affettuosa ma avara di gesti teneri: baciò la ragazza sui capelli neri e la abbracciò.
Delia fu turbata da quell’atto inconsueto e nascose il viso tra le vesti della madre, per non mostrare la sua commozione.
Quel contatto fra le due donne suggellò un’intesa che durò per tutta la vita.
I due fratelli di Cesira, Stefano e Sandro, erano a Londra da quasi vent’anni. Stefano, diplomato al Conservatorio, viveva in centro, dove era sorta anche la sua “Casa degli artisti”, mentre Sandro risiedeva in periferia ed aveva una pasticceria in centro. I due fratelli si incontravano solo di tanto in tanto, perché le loro due abitazioni si trovavano ad almeno 15 miglia di distanza.
Cesira non sapeva quanto Londra fosse estesa, nel suo immaginario doveva essere una cittadina simile a quelle che lei conosceva ed era convinta che i suoi due fratelli avrebbero potuto proteggere Delia in qualsiasi caso.
Non era una coincidenza se Merope, anch’egli in qualche modo parente con lo zio Sandro, aveva deciso di partire: gli era stato scritto che un aiuto pasticciere poteva essere utile e che a Londra anche per lui ci sarebbe stato un futuro migliore.
Delia e Merope non si conoscevano quasi, ma in quegli anni un matrimonio a quelle condizioni era piuttosto normale.
A Londra c’era anche un cugino di Merope, Gino, che si era offerto di ospitare i due sposi a tempo indeterminato.
***
Ad Alessandro il futuro genero non piaceva, ma si limitò a dirlo alla moglie, che finse di non sentirlo.
«Cosa andate a fare a Londra, non potreste rimanere qui?» chiese a Delia, che gli sorrise e non rispose.
Merope non aveva proprio niente di bello, nemmeno per la sua giovane sposa: di aspetto era piuttosto sgradevole e ancor peggio erano i modi, rudi, sgarbati, fastidiosi.
No, l’amore non c’entrava, aveva visto bene sua madre. Ma per Delia l’amore era quel viaggio, un futuro in una città vera, grande, lontana, piena di gente e di opportunità e Merope era il solo mezzo che lei conoscesse per poter raggiungere quell’illusione!
***
Leggiamo e commentiamo insieme questo brano tratto dal libro Da qui a Bond Street di Giusi Cristiano Romersa, recensito da Nicla Morletti nel Portale Manuale di Mari.
Da Mongrando a Bond Street corre il treno dei sogni. Delia vi e’ salita,
accompagnadosi (senza passione) a Merope.
Metafora di una provinciale che ambisce ad altre emozioni, alla ricerca di una nuova dimensione sociale.
Non vedo in Delia una femminista ante litteram, piuttosto un’ emigrante disposta a scommettere che le nebbie di Londra nascondono i raggi di un avvenire radioso.
Su questo leit motiv Giusi Cristiano Romersa pennella un romanzo moderno dalla fragranza di un tempo.
Gaetano
Gentile Gaetano,
il Suo commento è molto centrato, alcuni uomini con la sua stessa sensibilità hanno avuto quest’ impressione. Con simpatia
Giusi
Ho letto il libro in una sorta di suspense, impaziente di voltare pagina per sapere il seguito della storia, completamente immersa nelle vicende di tutti gli affascinanti personaggi che vi appaiono, soprattutto di Delia, femminista avanti lettera.
Libro interessantissimo, immensamente appagante che ti afferra l’attenzione dalla prima pagina, ti affascina, ti incanta e non ti molla.
“Da qui a Bond Street” e’ un libro da non perdere.
Cara Imelde,
grazie di aver commentato un libro che già possiedi. Sei stata molto gentile. Giusi
una storia d’altri tempi ma così vicina, intima…chi non si riconosce in Cesira che vuol mettere un pò dei suo sogni nel nome delle figlie? in fondo proprio nei figli riversiamo i nostri sogni e le nostre speranze per un mondo migliore. Bello il narrare pacato che si adatta perfettamente alla storia
Cara Stefania,
sono certa che sia nei tempi passati che in quelli che verranno, sogneremo sempre un mondo migliore per le generazioni future. E’ una speranza che non ci deve abbandonare, perchè i giovani contano anche sulla nostra capacità di infonder loro fiducia. Un saluto affettuoso
Giusi
quanto adoro questo genere di libri…saghe familiari, dalla parte della donna…un po’ versione moderna di “orgoglio e pregiudizio”…ma sicuramente piu’ rivolto verso l’anima dei personaggi
Cara Claudia,
grazie del paragone con un grande classico, magari fossi all’altezza…! Saluti cari,
Giusi
LA caratteristica che mi attrae di più in questa parte di racconto è la genuinità della storia stessa. Una storia tutta al femminile dove,finalmente, gli eroi hanno volti di donna e gli uomini sono destinati ad un ruolo marginale.Tutto ciò mi fa riflettere su come,nei primi anni del novecento, molte famiglie del nord fossero tipicamente matriarcali in contrapposizione con quelle del sud, di stampo patriarcale.E’ fantastico,inoltre, dovere immaginare un parallelismo tra due mondi differenti, come un piccolo paesino del Piemonte e una mega metropoli come Londra.
Chissà se Dalia riuscirà a mettere in pratica gli insegnamenti materni in una città vera come Londra. Un romanzo che mette curiosità. Complimenti
Caro Giancarlo,
so che l'”assaggio” del libro non rende giustizia ad alcuni personaggi maschili (che sono invece dei grandi uomini, pur nella loro semplicità). E’ vero che al nord la famiglia era (credo che lo sia ancora…) matriarcale, ma nel racconto ho cercato di valorizzare le qualità dei personaggi maschili che…lo meritavano ! Grazie del bellissimo commento.
Giusi
Intrigante la tessitura della storia di questa famiglia…le figlie sembrano aver caratteri ben delineati e la narrazione può rivelarsi davvero interessante, soprattutto per quello che promette (il futuro fantasticato a Londra viene definito un’ “illusione”). Sarei ben felice di poter capire meglio cosa accade in seguito…o anche il mio desiderio è solo un’illusione? La decisione sta a voi.
Cara Gloria,
la sento determinata, quasi quanto Delia…Sono convinta che le donne forti di questa famiglia le piaceranno, nonostante i loro difetti, perchè sono personaggi moderni e hanno, tra le loro virtù, concretezza e voglia di fare, di emergere, di migliorarsi.
I miei auguri più sinceri.
Giusi
Davvero interessante e piacevole, una lettura che ci porta in un mondo lontano, matriarcale, in cui il rispetto e la famiglia erano importanti.
Un libro da far leggere ai giovani d’oggi e che sicuramente mi emozionerà e mi commuoverà.
Stefania
Gentile Stefania,
Ha davvero colto nel segno ! Non sa quanti giovani, riluttando, hanno letto la storia, ed hanno poi commentato che alcuni valori importanti si stanno un po’ perdendo. Spero proprio che Lei legga il libro fino alla fine. Con simpatia.
Giusi
Lo farò con gioia, grazie infinite.
Stefania
Interessante… sinceramente non avevo capito che si trattasse di una storia vera. ancora più bello allora, quando si legge di vite passate e realmente esistite la voglia di leggere e di carpirne ogni minimo particolare e se vogliamo anche insegnamento è ancora più entusiasmante. Ancora tanti complimenti ed in bocca al lupo per il successo del suo meraviglioso libro.
in queste righe mi sembra di leggere la grande voglia d’evasione e di spiccare il volo di delia in un nuovo paese, anche a costo di sposare un uomo che non le piace. ma la mamma (come in fondo tutte le mamme) senza parole ha già capito le intenzioni della figlia. sicuramente è un bel libro e da queste poche righe già viene voglia e curiosità di sapere come andrà a finire la nuova avventura dell’esuberante delia. l’autrice è bravissima a descrivere umori, sensazioni e caratteri di tutti i suoi personaggi. bravissima!
Cara Maria,
grazie del suo commento e dei suoi complimenti. La storia di Delia è una storia vera, e in copertina la foto è quella della protagonista nel 1939. Cesira, la mamma, come lei ha intuito, è un personaggio che tiene sempre unita la famiglia, nonostante l’emigrazione dei figli in varie parti del mondo.
Le auguro una buona estate…in compagnia di tanti buoni libri !
Giusi