Il sole era appena apparso a colorare questo pezzo di mondo, l’aria frizzante accarezzava pensieri evasivi ed ero lì, dimenticata nel letto da otto anni, intorpidita da una vita frenetica in attesa della “svolta”.
Ossessionata da una società che utilizza il “cogli l’attimo” oppure l’elegante “carpe diem” come uno spauracchio, ho sempre sognato di viaggiare oltre la fantasia. E invece ali di cartone t’inchiodano al pavimento del dovere e naufraghi nel tran tran quotidiano. Allargo le braccia, mi lascio baciare dai raggi del sole, i suoni della città rimbalzano nella stanza e mi richiamano alla vita… Chiudo gli occhi e vedo la mia casa. La casa dove sono nata e il mare e tu ci sei, sei lì ti specchi nei miei occhi e mi tieni per mano. Mi dici che mi hai sempre aspettato, che ricordi la prima volta che mi hai visto e con dolcezza scosti i miei capelli, mi dici che so di mare, del mare che ti manca… Ricordo anch’io quella prima volta. Fui così impacciata da non chiederti il nome ma ti avrei riconosciuto ad occhi chiusi solo dal tuo profumo, un profumo che sapeva di casa. Mi hai portato sugli scogli da lì, mi mostravi le rotaie e il treno che spezzava la tua voce sovrastandola con il rumore del suo passaggio. Quanto rammarico nella tua voce. Il treno ci ha sempre separato, ha spezzato il nostro tempo e con sé ha imprigionato l’amore, soffocato dalla nebbia della distanza. Mi hai stretta forte chiedendomi perdono, lì la mia anima si sciolse tra le tue mani scivolando come sabbia. Ricordo l’ultimo dell’anno con Luana, il tuo amico Alessandro e le altre coppie. Il nostro primo ultimo dell’anno, tu sempre in ritardo… Ma per la prima volta in giacca! Com’eri elegante! Poi il tuo sorriso. Con un inchino dicesti: “Vuoi ballare?” I tuoi amici rimasero stupiti mentre io accarezzavo le stelle e non vedevo altri, c’eravamo solo IO e TE. IO e TE, la musica assordante di un carillon scordato. Sale sulle mie ferite, ma mi persi in quel ballo…
Una porta che sbatte… Sobbalzo nel letto, sgualcito un camice bianco… Dove sei? Con un filo di voce chiedo di passarmi uno specchio, la ragazza con fare superbo mi domanda quasi stupita cosa devo farmene come se avesse una scadenza per essere usato… Lo specchio riflette deturpata la mia immagine: fili d’argento i miei capelli, non brillano i miei occhi e sperano che le flebo cessino, che il tempo si compia, che la luce si spenga e cali il sipario. Chiudo gli occhi. T’immagino sorridente al mio fianco, so che è lì il mio posto, faccio la mia scelta e ti seguo, seguo la scia di profumo che emani, non lascerò agonizzare il mio cuore, non più.
Gridatelefonicarrelliallarmicampanelliimpazziti… Ho tanto freddo ma sono felice. La porta è chiusa. Davanti c’è un medico che parla a della gente in lacrime. Tutti parlano di me al passato…
Immagine: L’abbraccio di G. Klimt, particolare
Ci crederai? Mi hai profondamente commosso.
Grazie
Francesco
Un racconto coinvolgente che mi ha commossa. Intenso il ricordo. Nessun gesto è sfumato, nessuna sensazione, nessun colore. Nessun odore. E’ tutto lì nella memoria. Il tempo non ha limiti né confini…
Un caro saluto
Nicla Morletti
Lo spauracchio dei ricordi é sempre lì, dietro l’angolo più remoto della mente. Anche se a noi pare di averli dimenticati per sempre. E’ un racconto che mi ha coinvolto personalmente, ho rivisto la pellicola ingiallita di vecchio film!
Complimenti!
marinella (nonnamery)
Che dire di questo tuo racconto? Che é bellissimo, coinvolgente, che mi ha commosso. A volte il tempo pare fermarsi come aggrappato allo scoglio di un ricordo, e niente e nessuno sembra distrarlo. Così i pensieri della tua protagonista fermi ai giorni felici di otto anni prima. E allora é meglio forse strappare tutti i fili che ci legano ad una futile vita, piuttosto che lasciar continuare ad agonizzare il cuore. Bravissima, Lenio.
Complimenti per questo bel racconto, così intenso ed emotivamente coinvolgente.
Daniela Quieti