No, non era un addio. Eppure lo era, dentro la sua feroce negazione. Il lago era sotto di loro, vorticoso di vento e di onde spumose e ghiacciate. La punta Spartivento al suo limite estremo, sul piccolo molo proteso, aveva consegnato ai mulinelli di aria fredda le loro parole bisbigliate, i loro occhi lucidi.
Non si poteva dire di più. Lei era appena nata e appena morta, lui un malato miracolato in quel momento, subito dopo ammalato ancora. Sfiorati da un’eternità effimera, lo spazio di una notte, avevano vissuto in poche ore una simbiosi talmente perfetta da lasciarli senza fiato, stupefatti e felici e straziati dentro contraddizioni incomponibili, dentro quella perfezione volatile e crudele.
Allegria sovrapposta per sopravvivere. Risate splendide e tenerezze struggenti, e ancora pochi giorni strappati dentro quel correre insieme come due bambini dietro un aquilone. Indicibili strazi taciuti, beatitudini che volavano fra quattro iridi dilatate, strette feroci di mani a trattenere impronte, a conservare carezze.
Forse non era giusto. Sicuramente era molto pericoloso per la futura pace di entrambi quel fulmineo riconoscersi e afferrarsi senza pensare, senza se e senza ma. Un attimo di perfetto, meraviglioso egoismo.
Lo voglio, sì. Ti voglio, sì. Ti sposo in questo momento,sarò la tua compagna e la tua amante e tua sorella e tua madre,sarò il tuo complice di mille inganni e l’alleato di ogni tua battaglia. Sarò l’alfiere delle tue verità. Saprò difenderti da te stesso e dal mondo.
Saprò camminare da sola senza te, e aspettarti, mentre il mondo sarà per sempre privo di tutti i colori che non siano i colori di questo lago.
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Immagine: Riflessi sul lago di Pedro Roldan
Grazie mille, Daniela!
Lorenza
Davvero un bel racconto. Complimenti
Daniela Quieti