1 Lo specchio della verità –
Lo avevo letto tutto d’un fiato molti anni fa, Il libro di mia madre di Albert Cohen. Un suo passo mi aveva colpita al cuore come una stilettata, e avevo giurato a me stessa che l’avrei sempre portato impresso dentro di me, come un marchio indelebile: “Figli di madre ancora in vita, non dimenticatevi più che le vostre madri sono mortali. Se uno di voi, dopo aver letto il mio canto di morte, sarà più dolce con sua madre… non avrò scritto invano. Siate dolci ogni giorno con vostra madre… Che ogni giorno le regaliate una gioia è quanto vi dico col diritto del mio rimpianto… Finché c’è tempo, figli, finché lei c’è ancora… Ma io vi conosco, e nulla vi toglierà dalla vostra folle indifferenza fino a che le vostre madri saranno in vita”.
Caro Albert Cohen, amico Cohen che negli atrii di Dio certamente l’avrai accolta con la dolcezza che in questo mondo io le ho negato, come avevi ragione! Per imprimere quel marchio sul mio cuore avevo usato un inchiostro di poco prezzo, e con la scolorina l’avevo presto cancellato.
Solamente oggi me ne rendo conto, oggi che è un giorno speciale, il 49° dalla sua dipartita.
La notte in cui il suo letto era stato trasportato in una stanzetta appartata dell’ospedale, per assicurarle un trapasso non turbato dai malati presenti nella sua corsia, mia madre non se ne voleva andare: ce lo diceva con la muta implorazione degli occhi che fissavano alternativamente il volto mio e di mia sorella, con quel suo respiro affrettato e ansimante che la mascherina dell’ossigeno non riusciva più a normalizzare, mentre percepivo la gran paura che l’attanagliava nella sua mano che rinserravo tra le mie, calda come la vita alla quale disperatamente si aggrappava.
Oggi so con certezza che non lo vogliamo lasciare questo pianeta, nemmeno quando la fede promette tunnel luminosi che ci risucchiano verso una luce suprema, accanto alla quale star seduti per l’eternità. Spero che lassù le abbiano assegnato una sedia comoda, a mia madre: una sedia esattamente uguale alla vecchia scranìna impagliata – l’unica che lei ha sempre voluto utilizzare -, sulla quale si è seduta con sollievo per oltre cinquant’anni. La fede non le faceva certo difetto, eppure sono certa che quella notte mia madre non se ne voleva andare: era alla scranìna di casa nostra che voleva ritornare, con la gatta sulle ginocchia e l’amatissimo Alì accovacciato ai suoi piedi, al centro di quel suo universo fatto di cose ormai da tanti anni immutate da dare l’illusione che sarebbero durate per l’eternità.
Secondo la religione buddista, il 49° giorno dal decesso segna l’inizio del viaggio del defunto verso il Mondo Astrale. Sino a quel momento la sua anima ha sostato nel Mondo della Penombra, una sala d’attesa dove si è liberata dell’odore del suo corpo carnale; dopo aver completato il periodo di purificazione, l’anima si trasferisce dinanzi a una specie di schermo, un visore che i buddisti chiamano “Specchio della Verità”. Lo specchio riflette tutti gli istanti della vita del defunto, il quale è in grado di riviverli contemplandoli dall’esterno come se fosse non il protagonista, ma un estraneo che li sta osservando. Il suo pentimento, risvegliato dal riconoscimento di determinati atti che ora l’anima è in grado di giudicare, provoca l’annullamento graduale di tutti i karma accumulatisi nel tempo; ad uno ad uno essi si allontanano, come se l’anima si spogliasse lentamente, quindi si dissolvono nello spazio lasciandola finalmente libera e purificata.
Lo sai, mamma, mi piace pensare che durante questa spogliazione dei tuoi karma forse ti sto facendo compagnia: ho la sensazione di continuare a vivere accanto a te, ancora per un poco. Tu sei fuori del tempo, in una dimensione che non mi è del tutto ignota grazie a una esperienza esaltante che feci qualche anno fa in un giorno d’estate, pedalando dagli Obici verso il Finale. Mentre ero assorta nella contemplazione della campagna, riarsa e come tramortita sotto il solleone, improvvisamente provai la sensazione di uscire dal mio corpo e di essere trasportata verso l’alto, con la percezione vivissima di innumerevoli epoche passate che avvertivo ferme sotto di me, bloccate in ogni loro singolo istante eppur eterne, come eterne erano quelle sopra di me ancora in gestazione, simili a infinite sfere concentriche in attesa di avverarsi. Quando quella vertiginosa sensazione cessò e rientrai in me stessa, mentre le lancette del tempo riprendevano a scorrere normalmente compresi che ero stata risucchiata da quella dimensione tanto vanamente cercata nei suoi ultimi anni da Albert Einstein, e che per un istante mi si era spalancata la porta di un mondo parallelo.
Tu adesso spazi tra quelle innumerevoli sfere concentriche con l’agilità di una gazzella, e raccogli nella tua anfora tutto il bene che hai versato. Bevi da quell’anfora, mamma, e aiutami un poco a bere insieme a te. Non aver paura del viaggio che ti aspetta: ti porterà verso un mondo tutto bianco come quello che dopo un lunghissimo viaggio raggiunse Gordon Pym, e come l’eroe di Poe anche tu vedrai risplendere, ai confini dell’orizzonte, una gran luce.
CALICANTO di Maria Pia Balboni – EDIZIONI IL FIORINO, 2010 pag. 96
Il commento di NICLA MORLETTI
Un libro della memoria, breve ma coinvolgente, dalla narrazione fluida e ben appropriata. Il ritratto di una donna forte che supera ogni difficoltà materiale e qualsiasi crisi. Figura straordinaria, pur inconsapevolmente, diviene protagonista della storia del suo tempo. Una straordinaria vicenda che è la storia di una madre. E madre e figlia divengono entrambe specchio di verità e pura autenticità, mentre il calicanto del giardino fiorisce nel freddo pungente. Nel cielo le stelle. Un romanzo che tocca e commuove e avvolge di tenere sensazioni, struggenti come i ricordi.
La fede non cancella il dolore. Lo razionalizza, casomai. Maria Pia Balboni in ” Calicanto” si strugge delle mancate attenzioni alla madre.
Ma e’ il cruccio di ogni figlio devoto e scrupoloso. Nessuno potrebbe ricompensare degnamente l’ affetto della genitrice.
Ma puo’ riunirsi a lei nella preghiera. Che e’ recitabile anche da un ateo. Perche’ chi crede nel ricordo di una madre non puo’ adorare il Nulla.
Gaetano
Commovente… il dolore per la perdita di una persona cara è una delle esperienze più tragiche e sofferte dell’uomo. Ed è vero che mentre ancora avremmo la possibilità di rendere felice che ci sta accanto, il più delle volte viviamo d’abitudini e di routine, dando per scontato anche la dimostrazione di un affetto che alla fine è parte integrante di ciò che siamo. Ma io confido sempre nel cuore umano e a prescindere dalla fede, voglio pensare che la morte non sia mai la parola fine al romanzo umano ma solo un modo diverso di continuare quel nostro vivere anche al di là d’ogni confine. Un abbraccio e complimenti per questo dolce ed intenso libro. Simona
Sono commossa. M. Pia Balboni ha scritto pagine tenere ricche di dolore, magia e incanto, un vortice di emozioni condivise con tenerezza e pietà, quasi capaci di sconfiggere il destino.
E’ riapparso lo struggente ricordo di mia madre alla quale ho dedicato un capitolo del mio libro, con il rimorso di non averle dimostrato abbastanza amore, comprensione e capito la sua solitudine.
Mi piace pensare che ora risplenda di vera luce.
Concordo con la signora Giulia che mi ha preceduto, questo brano è bellissimo e sarebbe una bella cosa poter dire sinceramente a chi ci sta vicino quanto gli vogliamo bene, prima che sia troppo tardi e non dovercene poi rammaricare di non averlo fatto. Da quel poco che ho potuto leggere, è un romanzo che ognuno di noi può dire di ritrovare se stesso e il rapporto con la propria madre, e ci invita ad amarla e a trattarla con dolcezza finchè l’abbiamo vicino. Un bell’insegnamento per tutti,complimenti!
Pagina Bellissima e sconvolgente. Il rapporto intimo, profondo ma inevitabilmente difficile o poco dichiarato, come spesso accade tra madre e figlia, lascia il solco dentro. E’ proprio vero che a chi si vuol più bene quasi mai si riesce a dirlo e dichiararlo con semplicità. Ma perchè è così difficile dichiarare il proprio bene e si perdono giorni importanti della nostra esistenza che mai più ritorneranno? Il monito dell’autrice a non sprecare questo tempo prezioso dovrebbe essere ascoltato da tutti, soprattutto da me.