Quando mia madre è nata, nel 1922, la nonna aveva quarantacinque anni. Era un periodo difficile, e per una famiglia di povera gente come era quella dei miei, la già difficile esistenza era messa quotidianamente a dura prova da un periodo storico non certo avaro di disordini che in quei tempi erano sempre di casa.
Ho letto, non ricordo più dove, che la prima volta che una bandiera rossa ha sventolato al mondo, questo è avvenuto proprio ad Ancona, dove nel 1914 c’è stata la famosa Settimana Rossa, con tanto di scontri e, purtroppo, di vittime. Chissà quanti giornali dovevano essere stampati in quegli anni, chissà quante speranze, quanto entusiasmo, quante vite spezzate, quanti e quali fermenti: di loro non abbiamo più notizia. Prima che iniziassi a lavorare, mi sono occupato d’una storia del primo Novecento, e ho scoperto che ad Ancona c’era l’Opera Pia del Baliatico per la prole legittima: mi sono sempre domandato e quella illegittima, di prole, che fine faceva? Sembrerebbe una domanda idiota la mia, ma non lo è per nulla, se pensiamo a quei poveri disgraziati: che ne sarà stato di loro?
La miseria nera, la miseria nera, di questa sì che ho sentito parlare come espressione colorita spesso usata da mia madre: anche la miseria aveva un suo colore, il nero del carbone e della disperazione, almeno credo. Le immense privazioni caratterizzavano il clima di quegli anni, eppure non mancavano di certo valori come la speranza, il rispetto, la solidarietà, perché la comunità viveva comunque in un villaggio, e tutto, anche la sofferenza, veniva condiviso. In fondo, quello che ci manca oggi è l’idea della comunità, del villaggio, e non a caso qualcuno ha parlato di villaggio globale, ma non è mica la stessa cosa.
Ma non perdiamo di vista la nostra modesta storia.
La famiglia della mamma era formata dai genitori e da sei figli, tre maschi e tre femmine, sebbene la prima bimba, che mia madre dice fosse bionda, morì a un anno e mezzo. Mia madre mi ha sempre detto che era morta “di gruppo”, e credo pertanto che si dovesse trattare di una malattia del sangue.
Ma c’era stata un’altra grave perdita, così forte da far quasi impazzire di dolore quella povera donna di mia nonna: nel 1919, era morto di malattia il suo primogenito Carlo. Di quel ragazzino non conservo neppure una fotografia, ma so che è stato molto amato, perché in famiglia mia nonna era solita parlare continuamente di quel figlio prematuramente scomparso proprio allo sbocciare della gioventù, tanto che in soffitta esiste ancora un grande quadro che lo ritrae, di quelli che andavano di moda cento anni fa. Su di lui aveva puntato quella povera famiglia, l’aveva fatto studiare e Carlo lavorava in una farmacia, dove i proprietari, marito e moglie, l’avevano preso a ben volere, forse per il fatto che non avevano potuto avere figli, che già in quella società era come una specie di condanna.
Ma anche il destino, signori miei, certe volte è crudele prima ancora che si compia.
Infatti all’epoca in farmacia si preparavano molti medicamenti in laboratorio, non è come adesso che si vendono i prodotti industriali, e il nostro povero Carlo, a contatto con le sostanze chimiche, non ce la faceva più a starci.
Così, lasciato il posto di garzone di farmacia nel quale aveva riposto tutte le sue speranze in un avvenire migliore, aveva ripiegato in un impiego presso un capannone che doveva trovarsi nei pressi della stazione ferroviaria di Ancona, probabilmente come addetto ai servizi di transito merci. Fu qui che, a contatto con merci provenienti da tutto il mondo, quel giovane ebbe a contrarre il tifo e, sebbene giovanissimo, morì. Dice sempre mia mamma che un altro grosso dolore per la nonna era stato quello di non avergli potuto dare una tomba, un’adeguata sepoltura, perché quei pochi soldi di cui disponevano li avevano prestati poco prima ad un loro parente che aveva intrapreso un commercio senza successo, e così quando pioveva mia nonna partiva con l’ombrello per il cimitero, camminando per ore per riparare dalla pioggia quel suo figlio sfortunato ormai finito nella fossa comune.
Così, in quella grande disperazione, nasceva mia madre, quasi che chi l’ha messa al mondo a momenti non se n’era neppure accorta, tanto era disperata.
Ma la prima cosa alla quale hai pensato, mamma, quale è stata?
Ho pensato che non fossi figlia loro, che forse mi avevano adottata o presa a servizio: questa è stata la sua agghiacciante risposta. Ma vedete, non giudicateli male: la colpa non era loro, ma della miseria.
Mai una carezza, non dico tante: ma almeno una.
Va bene, è andata così, ma non dobbiamo mai disperare.
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Dal libro Non dobbiamo perderci d’animo di Massimo Cortese – EDIZIONI MONTAG, 2010 – p. 71
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Il commento di NICLA MORLETTI
Proseguendo l’avventura di “Candidato al Consiglio d’Istituto”, libro che ha ottenuto consensi di pubblico e di critica, Massimo Cortese, in questa seconda raccolta dal titolo “Non dobbiamo perderci d’animo” continua a raccontarsi. E lo fa con cognizione di causa, con abilità e garbo, cosicché il lettore ne rimane attratto e desidera immergersi ancora di più nella storia. E così sfila nella sua mente anche un ritratto dell’Italia di ieri e quella di oggi, ma… non dobbiamo perderci d’animo perché la speranza è qui, dietro l’angolo. Un buon libro di cui consiglio vivamente la lettura.
Finalmente una bella “storia familiare” vera, con sentimenti autentici, per ricordarci come eravamo e da dove veniamo!
Gentile Annalisa, la storia mi ha sempre fortemente interessato, fin dalla terza elementare, anzi, oserei dire, il suo fascino mi colpisce ancora. Mi piaceva raccontare alcune vicende private accadute negli ultimi centocinquanta anni di storia italiana, ed è venuto fuori il libro. Perché, se noi perdiamo le nostre origini, difficilmente ci risolleveremo. Vorrei congedarmi con un piccolo aneddoto: qualche tempo fa vado in edicola, e noto che un quotidiano vende un libro con i discorsi dell’onorevole Aldo Moro. Incuriosito, esclamo: “ Oh, i Discorsi dell’onorevole Aldo Moro, mi ricordo ancora quando è morto”. Intendevo riferirmi al 9 maggio 1978, che penso che ognuno di noi ricordi. Il giovane edicolante mi ha detto “Ma di che cosa è morto?”
Grazie ancora Annalisa. Vorrò dire che, se posso, pubblicherò ancora qualcosa del genere.
Massimo Cortese
Davvero un bello spaccato di vita passata.. sembrano le storie che mi raccontavano i miei nonni, che hanno visto la fame e la guerra..
la cosa bella di quei tempi era che anche se c’erano delle famiglie numerose (mia nonna ha avuto 8 figli), si assaporava maggiormente il valore della famiglia, l’unione, anche se da mangiare c’era molto poco, ma era bello condividere tutto, i pasti, le stanze (si dormiva tutti insieme) e anche il dolore.. però come traspare da questo breve brano che ho letto, non ci si perdeva d’animo, anzi ogni dolore era la molla che faceva innescare un meccanismo di ribellione, la voglia di farcela e di andare avanti..
e faccio i complimenti all’autore perché ha saputo far emergere questi sentimenti di condivisione, raccontando una storia emozionante, ma sapendo usare delle parole semplice e quindi rendendo il racconto molto piacevole..mi piacerebbe davvero leggere tutto il libro..
Gentile Maddy, in questo Paese esiste un problema di mancata conoscenza del proprio Passato, e i dieci racconti di “Non dobbiamo perderci d’animo” sono stati pubblicati in occasione del 150° Anniversario dell’Unità Nazionale. Per questa ragione, sono onorato di poter dire che il prossimo 7 maggio, alle ore 10, presso la Sala Consiliare del Comune di Camerata Picena, in provincia di Ancona, sono stato invitato a parlare del mio secondo libro con i ragazzi della locale scuola media, ai quali ho regalato il testo in occasione delle feste di Natale.
La saluto cordialmente
Massimo Cortese
Ho presentato il mio secondo libro “Non dobbiamo perderci d’animo” nella settima puntata della trasmissione televisiva Book Generation. La presentazione è avvenuta presso un Caffè all’aperto, se così si può dire, nel mese di dicembre del 2010. La puntata è visibile nell’omonimo sito.
Cordialmente
Massimo Cortese
Il titolo è già una speranza, che tocca tutti e in ogni epoca. Gentile e delicato lo stile dell’autore che racconta di sè e della sua famiglia in modo semplice e diretto eppur così vero e vicino a tanti di noi.
Il mondo cambia, i tempi cambiano, ma non significa che bisogna rimanere tenacemente attaccati a ciò che era, la vita e la sua realtà va affrontata per quella che è. La speranza vive in ognuno di noi e questo racconto ce lo ricorda con emozione.
Grazie, Patrizia. E’ vero, il mondo cambia, i tempi mutano, anche le persone che si trovano a vivere in questo momento storico hanno comportamenti diversi da coloro che li hanno preceduti, ma non dobbiamo mai dimenticare il patrimonio di valori che essi ci hanno consegnato in eredità.
Un caro saluto
Massimo Cortese
Gent.mo Massimo,
non sa che piacere immenso ho provato nel ricevere i suoi libri oltretutto con dedica (li custodirò gelosamente come gli altri).
Ho già letto “NON DOBBIAMO PERDERCI D’ANIMO” e sono curioso di leggere gli altri due.
Ha un modo di scrivere ironico, pungente ma serio allo stesso tempo.
Chissà se un giorno anch’io riuscirò a finire il diario del mio 1° tempo e a trovare il coraggio di farlo leggere a qualcuno.
La ringrazio di cuore e le auguro una buoan vita.
Cordialmente.
Sabato
” Non dobbiamo perderci d’ animo “. Eh, si, sulla miseria piu’ nera aleggiava la speranza.
E nel villaggio c’ era molta solidarieta’. Non come nel villaggio globale odierno, che, artificialmente creato, propone una vita innaturale.
Infatti, nell’ abbondanza la disperazione cresce. Senza ideali. Senza fede. Meglio nel 1922. Non ostante non ci fossero l’ acua corrente, l’ elettricita’ diffusa e i servizi igienici famigliari.
Gaetano
“Non dobbiamo perderci d’animo” è un libro di racconti, scritti in occasione del 150° Anniversario dell’Unità Nazionale, dove il tema ricorrente è la speranza, che non deve mai mancare, neppure nei momenti più difficili. Con i racconti vengono offerte alcune storie di vita quotidiana, avendo sempre sullo sfondo l’Italia che cambia.
Ringrazio le gentili lettrici.
Massimo Cortese
è bello sapere che si può ancora sperare…..e questo libro aiuta molto
Gentile Cristina, sono Massimo Cortese. Volevo solo farle presente che l’indirizzo presso il quale ho inviato il testo si è dimostrato erroneo, e l’invio non è andato a buon fine.
Volevo farlo presente.
Un caro saluto
Massimo Cortese
Forse questo è proprio il libro che mi ci vorrebbe in questo periodo, un libro per ritrovare la speranza ed accorgersi che è veramente dietro l’angolo, anche quando non sembra così.
Forse leggendo questa storia vera che sembra così commovente la posso ritrovare….
Complimenti all’autore che raccontandosi ci fa conoscere altre realtà e storie italiane.
Stefania C.
Gentile Gaetano, la ringrazio per questa sua riflessione. Oggi l’Italia solidale che ha sempre accompagnato l’esistenza delle nostre comunità per molto tempo, spesso non esiste più. Oggi, con la globalizzazione, spesso subiamo l’influenza della famiglia virtuale, costituita dalla televisione, da Internet e via dicendo, mentre la famiglia naturale non è più quella di un tempo. Comunque, non dobbiamo avere timore dei tempi che cambiano, ma bisogna affrontare sempre la realtà. Sarei ben lieto di regalarle il mio libro, non appena avrò il suo indirizzo.
Grazie ancora
Massimo Cortese
Grazie!
Ho ricevuto il suo libro completo della bellissima dedica. Mi ha fatto molto piacere. Non appena l’avrò letto le farò sapere le mie considerazioni. Intanto la saluto cordialmente.
Stefania C.