Lasciva se ne stava affianco al suo padrone, abbandonata su un vecchio divano sbiadito, di qualunque colore si fosse trattato.
"Eh si, mi ricordi proprio una bella micia!".. Si sollevò di scatto e l’ afferrò tra le sue braccia, girandola di schiena senza chiederle il permesso.
Il padrone voleva giocare, la gattina lo sapeva. E a che gioco voleva mai giocare, il padrooone? Ah, quello poco importava! Il divertimento stava nel regalare a chi la intratteneva, pochi attimi di onnipotenza, quel tanto che poteva bastare per farlo sentire maschio. Niente di più facile..
Il gioco stava nel dire "Si, fallo.. miaaaao..".
Il gioco stava nel dire "No, mai nessuno prima di te! Miiiaaaooo..".
Il gioco stava nell’ abbozzare prima il dolore, e nell’ urlare poi il piacere.
Il gioco stava nel sorreggere il suo peso, il suo corpo sfinito abbandonato sulla schiena, restando muti, ascoltando i respiri, l’ orologio della cucina.. Rendeva la cosa quasi sentimentale.
Aveva avuto finalmente il suo attimo di gloria, il padrooone-padronciiino.
Ma accarezzava distrattamente i suoi capelli, inorridita dalla beatitudine di quell’ uomo. Da quel sorriso da ebete spuntato improvvisamente sul suo volto. Ritirò la mano dalla sua testa, scandalizzata.
La mise sul seno.. Coprì il pube con l’ altra.. Nuda! Era nuda!
Oddio! Doveva vestirisi subito! Immediatamente! Andare via.. Doveva andare via, lontano, prendere le sue cose e andare via! Voleva il suo letto, le sue lenzuola pulite, profumate. Voleva il suo cuscino morbido, il confortevole silenzio della sua casa.
"Ehii gattina, ma che fai?".
"Vado a casa, che faccio?".
Le afferò il polso, senza stringere. Ma lei avvertì ugualmente la stretta.
"Lascia-miii!!! Cosa vuoi?", gli urlò in faccia.
"Non sei la mia gattina? Ti ricordi? ..Miiiaaaooo?".
Guardò lui.. Guardò la sua bocca aperta, le sue labbra che miagolavano rendedolo ridicolo.
"Ma io.. Io..". Un nodo alla gola tratteneva le sue spiegazioni. Lei non voleva giocare più! Gli aveva già dato il suo attimo di onnipotenza, ma che voleva ancora questo miserabile? Che cosa voleva ancora da lei? Il gioco era finito! Lo guardò meglio, non era nemmeno questo granchè. Eppure gli era parso quasi interessante!
Un brivido di ribrezzo le attraversò la pelle rivedendosi su quel divano..
"Io non sono una gatta!". Scandì lentamente le sue parole e si liberò, affrettandosi verso la porta.
"Ma come? Non sei la mia gattina? Ma l’ hai detto tu!", le gridò contro, credendo non lo sentisse più.
"Ehii?! Tu sei la mia micia, hai capito? Tu sei quello, sai fare solo quello, hai capito? Sai fare solo miao-miao!" e rideva, divertito dall’ imitazione.. "Ti verrò a trovare, ovunque sarai! Cosa credevi? Perchè tu.. tu sei la mia gattaaaa!!".
E poi quella taaaa che le rimbombava ancora nel cervello.
"Non sentire! Tappati le orecchie, non sentire! Tu non sei una gatta. Ripetitelo, non sono una gatta, non sono una gatta, non sono una gatta!" .
Povera.. Povera Beatriz.. Voleva solo giocare. Era solo un gioco, un innocente gioco.
Ma perchè, si domandava, nessuno lo capiva mai?
E così passò anche quella notte.
L’illusione di condurre il gioco ci rende schiavi più del fatto di subirlo.
Grazie Neida.