Gurdami così, ed io non resisto.
TU, si.. Proprio TU che non mi chiedi mai a cosa sto pensando.. Ed ogni volta te ne sono grata, perchè non mi costringi mai a mentire.
Quella volta, ricordi, corremmo per i vicoli di quella piccola città di mare. Come si chiamava? Era autunno inoltrato, il vento freddo pizzicava i nostri nasi rossi. Che ridicoli che eravamo, due clown! Due clown in corsa! Ridendo mi copristi con il tuo maglione caldo. Caldo di te.
Ti portai addosso fino alla fine di quella strada. Fino a quel cancello di legno, sbiadito negli anni da mani come le nostre, che cercarono riparo esattamente lì.
Non parlammo per un po’. Sconfinava dagli sguardi la spiaggia, rincorsa dalla schiuma.
Un gabbiano, guarda! Mi facesti segno con un dito puntato in alto. Il mio viso lo seguì come fosse stato una linea retta. Ma io non lo vedevo, dov’è?
Lassù tinte di bianco e di grigio scarabocchiavano il cielo senza alcuna logica. Si smarrirono i miei sensi in una nebbia di pensieri, di disegni, dimenticando da qualche parte il tuo gabbiano. . Un pittore pazzo aveva tracciato la sua ira per l’ estate finita. Presto la pioggia avrebbe gonfiato il mare e inondato le case, e lui sarebbe dovuto scappare lontano, per dipengere ancora il calore del sole. Il mio, uno sguardo di comprensione per qualcosa che non vedevi.. Sapevi già che l’ avrei fatto, non mi dicesti nulla. Silenziosi i tuoi occhi recuperarono il volatile sospeso in aria. Non ti perdevi d’ animo mai con me.. Prima o poi lo sapevi che il gabbiano e il cielo si sarebbero incrociati.
[etsise non UT]