Spina fiorisce nel tremor della rosa,
come nube densa che brucia,
si rià sul talamo assopito del delirio mai nato.
Non muta.
Piume di sole, sulle infinite righe dell’esistere,
tra le parole
distolte nel vento
in tormento.
Ché il vano ambir dell’amante,
che brama le sue ore in sul vanto dell’avere
non vive poi nel silenzio dell’avuto?
E’ stato. Accaduto. Finito. Obliato.
E suona infinitesime lire d’argento l’empireo,
occhi dei miei occhi, che m’ascoltano silenti.
Spento il dovuto, non rimane che l’inchiostro a celar l’inganno.
Sul filo d’un verso mai muto, sorge a danno del cuore,
ciò che il poeta chiama gentil Amore,
ma che in vero costò tanto.
Come amaro è il sorrider alla vita,
e lasciar che dentro arda il pianto.
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Lirica molto dolorosa e malinconica.
Lo stile, a tratti, cercando rime e assonanze, sembra quello di una poesia d’altri tempi, ma in realtà è scarno, essenziale, efficace.
“E’ stato. Accaduto. Finito. Obliato.”
Complimenti.