Era un pomeriggio afoso d’inizio Luglio a Milano.
L’asfalto dei marciapiedi si squagliava letteralmente al sole.
A poco erano servite le due gocce venute giù in tarda mattinata, che anzi avevano lasciato per le strade una cappa d’umidità insopportabile, accompagnata da poche pozzanghere grigiastre.
Il professar Donati, appesi malvolentieri ed anzitempo al chiodo i suoi cari libri d’italiano, latino e greco, si trascinava tristemente lungo il marciapiede assolato verso la solita libreria all’angolo, dove andava da qualche giorno anche per godersi un po’ dell’ aria condizionata del negozio.
Donati di nome faceva Corso, un nome altisonante originario del Trecento guelfo, che peraltro ben gli si adattava almeno fintantoché era rimasto a maneggiare classici dietro la cattedra del Liceo Berchet.
Lo strattonava in avanti a più riprese il fido Cerbero, unico e fidato compagno della sua prematura e forzata vecchiaia, che lo sopravanzava ansando con la lingua gocciolante a penzoloni, ben conoscendo la strada verso la solita libreria.
Era un’anziana coppia in realtà non ben assortita, il cane così vispo nonostante l’età ed il professore invece così dimesso anche nel vestiario, oltre che nell’atteggiamento.
A proposito: se lo avesse visto la sua Teresina!
Come prima cosa gli avrebbe fatto portare i pantaloni in tintoria.
E poi quella camicia a quadri sotto la giacca a righe!
E la giacca poi, con quel caldo!
Solo per la pigrizia di non fare il cambio di stagione dei vestiti, mettendo su la prima cosa che gli capitava!
Figli poi non ne erano mai arrivati, per cui quando lei se n’era andata l’autunno prima, era rimasto proprio solo come un cane; senza offesa per il povero Cerbero!
Senza nessuno ad accudirlo.
E si vedeva!
A fargli compagnia c’era soltanto il cane, attaccato al padrone forse più di quanto lo era in realtà lui all’animale, come abbiamo visto ne I delitti di Dante, tragica vicenda di cui erano stati entrambi involontari protagonisti.
Lo si vedeva già da come si muoveva lungo quel marciapiede che il professore portava ancora i segni del tragico episodio di quella scolaresca in allegra gita sulla neve.
Allegria che si trasformò ben presto in un giallo, anzi in un telefilm horror in piena regola e che certamente gli diede il colpo di grazia finale verso la pensione anticipata.
E sì che in tanti anni d’insegnamento ne aveva cumulati di ricordi belli e brutti, diversissimi tra loro e comunque interessanti, legati a ragazzi e colleghi, ma mai così intensamente tragici.
Aveva sino ad allora fatto quello che lui riteneva il mestiere più bello del mondo, anche se ultimamente non più tanto ben considerato e pagato.
Sempre a contatto coi giovani, con una missione educativa da compiere forse difficile ma stimolante: avvicinare i ragazzi ai classici, magari coinvolgendoli con quella sua dedizione quasi maniacale in cui ci metteva anima e corpo.
Un compito a volte improbo, come in quella tragedia della primavera del ’76!
Quella proprio non ci voleva!
Ne era uscito proprio a pezzi, svuotato e senza più entusiasmi.
Ma nel negozio, di cui era comunque cliente abituale anche nelle altre stagioni dell’anno, quella volta lo attendeva una sorpresa che lo avrebbe rivitalizzato e forse ringiovanito, dandogli una ragione di vita in più, come una manciata di sale gettato nel pentolone, per insaporirgli gli ultimi anni.
Girovagando lentamente tra gli scaffali, infatti, lo sguardo gli si fermò sul nome del personaggio di un giallo dal titolo curioso: Il mistero del duplice delitto di Pescarenico, ovvero le mucche non portano i pantaloni.
Il nome era quello di un certo Dado Morante, lo stesso di un altro giallo dello stesso autore, lì a fianco: Sangue tra gli Achei, ovvero la vera storia del cavallo di Troia.
Ancora questo Dado Morante!
Chissà se poi era quel Morante che era stato suo alunno.
Forse il suo miglior alunno.
Almeno quello cui rimase più affezionato.
Se lo ricordava bene!
Il più lazzarone, ma il più intelligente di tutti, il più sveglio e pronto in quel corso dalla IV Ginnasio alla III Liceo classico del Berchet.
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Dal libro Il tragico ritorno di Ulisse di Sergio Conca Bonizzoni – GRUPPO ALBATROS IL FILO, 2011 – p. 87
Il commento di NICLA MORLETTI
Un libro molto interessante che incuriosisce e induce alla riflessione sul tragico ritorno di Ulisse all’amata Itaca dopo dieci anni di peregrinazioni per il mar Mediterraneo. Ma la sua reggia è occupata da un gruppo di uomini violenti che hanno cercato di usurpargli il trono e di sposare sua moglie Penelope. Le avventure ed i rischi non terminano certo con il ritorno a casa dove non c’è un caldo focolare ad accoglierlo. Ma quanti erano i Proci? Forse più di cento. Come ha fatto quindi Ulisse a farne strage al banchetto finale? Dopo giornate trascorse a sviscerare il problema, una sera d’inverno, a casa di Dado, nasce una stretta di mano ed un sodalizio letterario tra il professor Donati e lo stesso Dado Morante, protagonisti ambedue del romanzo. A questo punto care lettrici e cari lettori mi chiederete: “E poi cosa succede?” Ed io rispondo: “Non resta che avventurarsi nelle pagine del libro che vi incuriosirà e vi coinvolgerà nella ricerca, data anche la leggerezza e la fluidità della narrazione. Ed a quel punto si sveleranno le vicende” .
Tanto si è scritto di Ulisse e delle sue avventure, ieri come oggi.
Libro interessante, le prime pagine fan desiderare di continuare la lettura. I parotagonisti del romanzo intrecciano una storia, un sodalizio coinvolgente e complice.
Da leggere.
Mi hanno sempre affascinato i gialli dell’ antichita’ ( anche se allora li chiamavano poemi).
E Bonizzoni rivisita l’ epopea di Ulisse. Creando la cronaca della Storia. In attesa di un intrico con altri protagonisti. Magari dell’ oggi.
Gaetano